Un’inchiesta della NBC svela una collaborazione tra il gruppo terroristico iraniano dei Mujahedin-e Khalq (MEK), con sede ufficiale a Parigi, e il governo israeliano. Grazie al supporto degli iraniani, il Mossad riesce a portare a compimento difficili missioni in campo avversario. Nel frattempo, l’organizzazione degli MEK lavora per creare un “parlamento” iraniano alternativo a quello di Tehran che lavori dall’estero, in attesa di poter tornare in patria. L’Europa dovrebbe rivedere al più presto il proprio supporto a questo gruppo.
Conferenza del 7 luglio 2011 a Roma. Tra i presenti: Maryam Rajavì (presidente del “Consiglio nazionale di Resistenza Iraniano”, Emma Bonino, Paola Binetti, Massimo Vannucci, Marco Perduca.
Nella foto da sx on. elisabetta zamparutti (radicali), sen lucio malan (pdl) irene khan (già segretaria generale di Amnesty International), Maryam Rajavi, On. Carlo Ciccioli (Pdl), hon. patrick kennedy, sen. bob torricelli (entrambi democratici USA)
Quando tre anni fa manifestavo a favore del Movimento Verde in Italia, vidi in piazza un signore ben vestito, con una bella pancia rotonda. Stava in giacca e cravatta in mezzo agli studenti, come se fosse nel posto più bello del mondo. Il suo sorriso era nascosto dai baffi spioventi, ma rivelato da due guanciotte rotonde e sode che rimanevano ferme sotto gli occhietti vispi che sbirciavano senza sosta in ogni direzione.
Simili personaggi in una manifestazione vengono notati subito da tutti, e temuti. Difatti intorno a lui si era creato uno spazio vuoto nel quale nessuno voleva entrare. Anche io lo ignorai, finché non sentii una mano pesante poggiarsi sulla mia spalla. La mano era di un iraniano che conoscevo solo di vista. Mi volle presentare il signore ben vestito. “Bia inja!“, lo chiamò e ci fece stringere la mano mentre ci faceva una foto.
Il signore ben vestito mi allungò una rivista dei Mujahedin-e Khalq (MEK) e mi chiese se volevo collaborare con loro. In quel momento capii di essere fregato: mi era appena stata fatta una foto mentre stringevo la mano a un Mujaheddin. Sbiancai e mi allontanai cercando di non essere scortese. Ancora oggi ripenso a quella foto che temo possa essere finita in qualche dossier (tutti quelli che si occupano di Iran ne hanno uno) come prova di una possibile mia collaborazione con quest’associazione.
I Mujahedin-e Khalq hanno una storia affascinante, contraddistinta da speranze, delusioni, rabbia e desiderio di vendetta. Il gruppo politico nacque in Iran negli anni Sessanta e si ispirava al socialismo internazionale, mantenendo una profonda matrice religiosa islamica. Desideravano la caduta dello Scià e la fine del dominio imperialista americano sul loro paese, un obiettivo per il quale consideravano lecito ogni mezzo.
Si misero alla prova nel 1971, quando lo Scià festeggiava i 2500 anni di monarchia persiana con sfarzose feste in mondovisione. Tentarono di far saltare in aria le centrali elettriche di Tehran e di dirottare un aereo, ma non ebbero successo. Nonostante gli arresti e le torture, il gruppo continuò a condurre azioni violente, durante le quali uccisero anche sei americani.
Il MEK sostenne attivamente la vittoriosa rivoluzione del 1979, solo per poi essere dichiarato illegale da Khomeini. Furiosi, i Mujahedin-e Khalq scatenarono una serie di attentati terroristici in tutto il paese, provocando numerose vittime. Allo scoppio della guerra contro l’Iraq, si misero dalla parte di Saddam, che li armò e li mandò in missioni pericolose. Questa scelta li avrebbe resi invisi alla maggior parte della popolazione: per gli iraniani ancora oggi è impossibile dimenticare che il MEK ha ucciso i “figli dell’Iran”, schierandosi dalla parte del nemico.
Alla fine del conflitto restarono in Iraq e nel 2003 si schierarono nuovamente dalla parte di Saddam, stavolta contro l’invasore americano. Nuovamente sconfitti, molti di loro (circa 3400) oggi cercano di vivere a Camp Ashraf, un campo profughi iracheno, dove i problemi di violenza ed illegalità hanno coinvolto la società internazionale.
Nel perenne tentativo di far cadere il regime, dopo il 2003 l’organizzazione sembrava aver puntato sul dialogo con l’Europa e il Nord America, riuscendo a farsi depennare dalla lista europea delle associazioni terroristiche nel 2009. Questo ha permesso al MEK di fare di Parigi il proprio quartier generale. Invece, gli Stati Uniti e il Canada – come l’Iran – non hanno mai tolto il gruppo dalla lista delle organizzazioni terroristiche, forse perché memori di quando gli obiettivi degli attentati erano gli americani in Iran. O magari perché a conoscenza di informazioni top-secret?
Probabilmente gli Stati Uniti sapevano cose che l’Europa ignorava. Un intervista dell’NBC a Mohammad Javad Larijani, membro del team che aiuta il Leader Supremo Khameneì a prendere le sue decisioni, permette di capire nel dettaglio qual è la teoria iraniana sulle azioni dell’MEK in territorio persiano in questi anni. Secondo il governo iraniano molti recenti attacchi (come le esplosioni nei depositi militari) e attentati terroristici (come quelli contro gli scienziati iraniani) sono condotti tramite una collaborazione tra Israele e i Mojaheddin. Fino ad oggi questa veniva generalmente considerata una teoria senza fondamento: l’unica prova erano le confessioni dei presunti membri dell’organizzazione catturati in Iran. Ma era naturale domandarsi sotto quali pressioni fossero rilasciate tali confessioni.
Oggi invece nuova luce viene gettata su questo ambito. I giornalisti dell’NBC hanno proseguito la propria indagine negli Stati Uniti, indagando sulle informazioni raccolte dalla Cia. Il 9 febbraio di quest’anno tre pubblici funzionari americani, in tre interviste separate, hanno confermato questo legame. Israele ha fornito armi, addestramento e denaro al MEK, affinchè venissero compiute azioni terroristiche in territorio iraniano. Già si sapeva che i recenti attentati agli scienziati iraniani erano stati ordinati dal Mossad (vedi “Chi uccide gli scienziati iraniani? Elementare, Bibi“. In base alle informazioni raccolte é chiaro che l’Europa dovrebbe valutare se rimettere l’MEK sulla lista dei gruppi terroristici.
Per farlo bisogna svelare la strategia usata dall’MEK. Se le informazioni che abbiamo a disposizione sono corrette, oggi Massoud Rajavì, lo storico leader dei Mojaheddin (nella foto in alto con Saddam), sta probabilmente conducendo missioni terroristiche in Medio Oriente con il supporto dei servizi segreti israeliani. Nel frattempo in Occidente sua moglie Maryam è diventata il presidente eletto del “Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana”, un finto parlamento di resistenza che aspira ad essere riconosciuto come il parlamento estero dei dissidenti iraniani. Difficile che accada, dal momento che molte fonti svelano come il suo funzionamento non sia affatto democratico. Secondo la Cia, le decisioni politiche sarebbero sempre prese all’interno del corpo dei Mujaheddin, per poi essere “ratificate” dal Consiglio. Purtroppo Maryam Rajavì ha largo seguito in Europa e trova spesso ascolto presso i nostri politici che, in buona fede, si prestano volentieri a discutere con i “resistenti iraniani”.
Ma la politica dovrebbe fare attenzione a supportare il MEK. La vera resistenza è quella condotta ogni giorno in Iran dalle persone che lottano per il rispetto dei diritti umani. Persone che molto spesso fanno parte della media borghesia, quella che oggi subisce il peso crescente delle sanzioni. L’Europa da un lato ha teso la mano a un piccolo gruppo terroristico, antidemocratico e totalmente privo di supporto nel proprio paese d’origine, dall’altro ha dato uno schiaffo ai veri resistenti iraniani. Sarebbe opportuno che in questo trambusto di affilarsi di lame, si trovi qualcuno disposto a rivedere questa strategia.