Come sempre, Milano ha porto l’altra guancia e gli «antitutto» che inneggiano alla libertà ne hanno approfittatto: il centro città è stato sequestrato per tutto il pomeriggio di sabato. Disagi al traffico, corse soppresse e ingente dispiegamento di forze: ma non solo. Fosse questo il danno, chiuderemmo un occhio – o forse due – e benediremmo il sacrosanto diritto di manifestazione. Ciò che intristisce è il fatto di dover riscoprire il cuore della metropoli oltraggiato dalla codardia del mucchio selvaggio, i corsi più frequentati appaiono violati nel profondo mentre cala la sera e sfumano i cori che hanno riempito il Carnevale della contestazione. La tattica è sempliciotta: ranghi serrati – oggi erano meno di mille i provocatori, non proprio un successone – e, al centro della mischia, sospensione della legalità: dove le regole non esistono, esistono solo le violazioni.
Non sarebbe bastato un hashtag? «Cloro al clero», «Caselli vattene», «Comunismo e presa bene», «Le lotte non si arrestano», «L’alta velocità uccide», «Make school, not war». Solito campionario, con una chicca da archivio: «No Gelmini», qui il graffitaro si era distratto e non ha percepito il golpe dei poteri forti in corso da mesi. Va in scena la Milano a mano armata: di spray, arroganza, blasfemia. Il corteo si è mosso dalla Stazione Centrale fino al carcere di San Vittore, dove sono reclusi quattro violenti coinvolti nelle devastazioni estive in Val di Susa. L’area antagonista milanese, al solito, ha miscelato temi diversi nella vernice della discordia: anticapitalismo, antirazzismo, antieuropeismo, antimilitarismo. Ripercorrendo a ritroso il tragitto della scampagnata vandalica, si incontra una città stuprata: nel mirino non solo istituti di credito, ma anche piccoli esercizi commerciali il cui ruolo nella crisi finanziaria è tutto da dimostrare.
Questo è squadrismo (rozzo al pari dell’originale), una prassi dialettica che ci spaventa, un rito ambrosiano di cui non si avverte la necessità. Sarebbe bello se le istituzioni civiche dicessero la loro, condannando la turpe scorribanda di questi pischelli senza sogni. Il sindaco e le sigle che vivono la partecipazione alla vita democratica della città si impegnino a scongiurare la consueta festa mesta che sbigottisce turisti e residenti. Ci vogliono coraggio e determinazione, perchè – in fondo – quella di sabato non è stata una bella serata per chi ama questa città, la sua storia antica, le sue battaglie nobili, il suo animo fiero. Ora anche basta: la lotta più degna, una volta intinta nella scelleratezza della violenza, diventa indifendibile e sciocca. Commuove, anzi indigna, la rassegnazione di un pasticcere anziano: sta calando la saracinesca e, mentre singhiozza, sussurra: «Non la faccio ripitturare, tanto entro l’estate ho deciso che chiudo. Son mica ricco, io».