Aveva due pecche, Stuart Sutcliffe. La prima, non sapeva suonare. La seconda, il suo corpo. Bello, forse troppo rispetto ai suoi compagni di viaggio – George, John e Paul non sono mai stai neanche lontanamente classificabili sotto la categoria “avvenenti” – ma anche troppo fragile. Morì a 21 anni, 50 anni fa, per un aneurisma cerebrale. Aveva già lasciato i Beatles, da circa un anno, ma aveva anche già lasciato nei Beatles un segno che sarebbe durato lungo tutta la loro carriera.
Sutcliffe fu un bassista. Non uno qualsiasi: fu il primo bassista dei Beatles. Era scozzese, ma studiò a Liverpool, al College of Art, dove strinse amicizia con Lennon. Erano gli anni ’50, e i Beatles ancora non esistevano. Sutcliff dipingeva piuttosto bene, perlopiù quadri astratti: era una delle star della scuola. Fu anche per questo motivo che Lennon gli chiese di entrare nella sua band: pensava che Sutcliff avrebbe donato alla band quel tocco “bohémien” che avrebbe giovato loro dal punto di vista estetico e commerciale. Dopo aver conosciuto anche McCartney e Harrison, Stuart acquistò un basso Hofner con i soldi ricavati dalla vendita di una sua tela.
Suonò con la band nel periodo trascorso ad Amburgo, in Germania, tra il 1960 e il 1961: a quel tempo i Beatles erano in cinque, con il batterista Pete Best a occupare il posto che, pochi anni più tardi, lasciò a Ringo Starr. Stuart non si distinse mai per le sue capacità musicali – la sua insicurezza lo portava, sul palco, a suonare dando le spalle al pubblico – e fu questo che, alla lunga, lo convinse a lasciare la band per perseguire la carriera dell’artista. In quel periodo conobbe però il suo grande amore, la fotografa tedesca Astrid Kirchherr, durante un concerto al Kaiserkeller Club.
La coppia Astrid-Stuart lasciò un segno profondo nella “creazione” dei Beatles per come li conosciamo oggi. Fu Astrid a importare nella band la pettinatura moptop, ovvero quel taglio a caschetto che ha contribuito a rendere i Beatles icone di quegli anni. Fu invece proprio Stuart ad ideare il nome Beetles, poi variato da Lennon in Beatles. La Kirchherr, poi, ritrasse il quintetto in una serie di scatti in bianco e nero che restano, ad oggi, la testimonianza visuale più significativa del periodo tedesco della band.
Esattamente cinquant’anni fa Sutcliffe morì. Lamentava forti mal di testa da giorni e, quando venne colto da un’aneurisma cerebrale, durante una lezione alla Scuola d’Arte di Amburgo, il suo decesso fu quasi improvviso. Oggi giace quasi dimenticato – pochi fanatici del quartetto di Liverpool e qualche cultore à la Rob Fleming ne ricordano l’esistenza – ma il “James Dean di Amburgo”, come era soprannominato, rimane tra quelle poche persone che possono dire di aver fatto qualcosa per cambiare la storia del rock.
E la sua faccia, che spunta in terza fila sulla copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (è il primo a sinistra, con il ciuffo), sembra lì a dire: ricordatevi di me.