Il Salone del Mobile si è appena concluso raccontandoci soprattutto l’arte del saper fare, una volontà comunicativa che sembra risorgere dal passato. Le grandi aziende si riappropriano di questo valore e in sintonia con il resto del mondo applicano con sapienza uno storytelling meticoloso e ricco di dettagli. Sofisticati cantastorie che, con apparente disinvoltura, portano in scena un “dietro le quinte” alquanto inedito; pensare che fino a poco tempo fa questo tipo di esposizione significava dichiarare ai competitor i propri segreti. Oggi, in un epoca forse più satura o forse più matura, è invece motivo di orgoglio e di lustro.
Durante il Slone e Fuorisalone 2012 – post precedenti
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Ti racconto i miei segreti
Dai prototipi alla produzione. Molte le mostre dedicate ai modelli originali di studio, spesso affiancati da video-display capaci di svelarne i dettagli e il processo evolutivo. Storie che trasmettono “il come si fa” a realizzare capolavori industriali pieni di artigianalità, dichiarando apertamente come si costruiscono i manufatti. Un made-in-italy che ci tiene moltissimo a cogliere questa opportunità per meglio comunicare come siamo bravi a produrre e lo fa attraverso la storia dei nostri prodotti, le icone del design Italiano; Zanotta, Kartell ed tanti altri.
Qualità dove?
Ricordiamoci che il prodotto italiano costa di più perché il sistema produttivo esige degli standard altissimi di qualità che incidono notevolmente sul valore complessivo. La qualità delle materie prime, la qualità degli spazi di vita e di produzione, la qualità igienico-sanitario e di sicurezza sono standard irrinunciabili per l’Italia.
Se a questo contesto aggiungiamo il posizionamento medio-alto di alcuni prodotti, la passione, la cura dei particolari e il ben noto buongusto una risposta è presto data.
Capto degli stimoli dal basso e li faccio miei
In altre occasioni le aziende si appropriano delle pulsazioni che provengono dal basso. Il mondo dell’autoproduzione è adesso un fenomeno planetario molto sentito e dibattuto. L’azienda le fa proprie, ma le trasforma in oggetti ibridi, Valcucine ne è un esempio, presentando collezioni di nuovi prodotti ibridati con sembianze di artigianato/DIY fai da te a costi poco accessibili. Diventa un mainstream quindi, ma a volte lascia perplessi.
Io lo facevo prima di tutti voi
Intanto, i grandi del Design Italiano quest’anno hanno deciso di alzare la voce e urlare al mondo intero che i precursori dell’autoproduzione sono stati loro; ovviamente ne siamo tutti grati ed obbligati. Forse pecchiamo di ingenuità se ci è sembrato di raccogliere la volontà di essere assolutamente ancora lì tutti insieme. Una certa strana domanda riecheggiava inevitabilmente nell’aria: “ma come, oggi tutti parlano di autoproduzione quando noi la facevamo già nei lontani anni settanta?
Alessandro Mendini ci racconta MISIAD, “Milano si Autoproduce” alla Cattedrale dentro la Fabbrica del Vapore, con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e, Enzo Mari, ci ha riproposto “Homage to Autoprogettazione” per Artek, con la riedizione della sedia P1, un progetto straordinario di allora, avanti secoli che proponeva la realizzazione di mobili semplici attraverso delle linee guida date dal designer. “Autoprogettazione?”, Corraini, isbn: 9788887942675 (88-87942-67-6)
Milano si Autoproduce
http://milanosiautoproducedesign.files.wordpress.com/2012/03/invitomisiadb.jpg
Homage to Autoprogettazione
http://www.designboom.com/weblog/cat/8/view/9756/enzo-mari-autoprogettazione-for-artek.html
http://www.artek.fi/news/videos/186
http://vimeo.com/39684024
Tantissime voci
In giro per il Fuorisalone tantissime voci, più o meno forti, ci hanno puntualmente riportato al mondo dell’artigianato evoluto, autoproduzione, modelli open source, fab lab, mix di high-tech-low-tech, macchine che producevano live, ragazzi che ci mostravano manufatti ricavati dai loro capelli o scarti di caffè (1°premio Salone Satellite 2012), prodotti interamente realizzati in CAD e poi prodotti al momento, stampanti 3D che strato dopo strato creavano forme finite, braccia robotiche che producevano oggetti e tanto altro ancora. In alcuni casi queste espressioni sono state concentrate in luoghi magnifici come i Palazzi storici nel centro di Milano; è il caso della rivista Domus con “Future in the Making”, altri invece hanno optato per location culturalmente importanti come Tom Dixon al Museo della Scienza e della Tecnica. La Rinascente ci ha parlato del fenomeno dell’hacking fisico con una performance nel piano dedicato al design, “Hacked, 100 ore di creatività ribelle”. La Mini con “Colour one for Mini” ha proposto un’installazione dove l’auto è stata completamente disassemblata; ogni parte che compone l’auto diventa un pezzo d’arte.
A Palazzo Garzanti abbiamo trovato l’installazione di un altro duo olandese che ci ha presentato un sistema di tavoli con le superfici di appoggio prodotte direttamente dal software. L’estetica non è unicamente l’espressione tridimensionale di un linguaggio contaminato che solo un software 3D può ottenere, ma anche i colori sono stati scelti per enfatizzare i punti di stress fisico-materico. Il prodotto è stato poi elaborato da quello che loro definiscono “a team of master 21st century craftsmen manipulating computer-controlled machine tools to fabricate the furniture”. In zona Ventura abbiamo visitato la mostra della Royal College of Art, un assemblaggio di tecniche miste tra industrial design e fine art dove tutto si incrocia e si mischia, dove l’uso della tecnologia si amalgama/plasma letteralmente con una sorta di mani/hi-tech per esaltare percezioni totalmente contemporanee. La scuola Israeliana Bezalel ci ha proposto anche quest’anno collezioni di prodotti che mescolano le materie naturali a quelle sintetiche, prodotti generati dai software e poi manipolati attraverso l’artigianato locale, un cross-contamination di tecniche miste impressionante. Arriviamo poi alla proposta di Andrea Mancuso ed Emilia Serra con “The Analogia Project”, una meravigliosa poetica espressa dall’installazione di mobili e complementi di arredo schizzati nello spazio. Uno schizzo di matita in 3D, un effetto bidimensionale in tre dimensioni, vero; uno spostamento inedito che dalla cultura digitale dove “tutto si può fare”, passa alla trasposizione fisica, nello spazio reale. Di solito avviene l’esatto contrario.
Kram and Weisshaar
www.kramweisshaar.com/projects/multithread.html
Future in the Making
http://www.domusweb.it/en/upcoming-event/salone-2012-domus-and-audi-present-the-future-in-the-making/
Tom Dixon
www.youtube.com/watch?v=uV6YmQkLGjo
www.abitare.it/it/globetrotting-salone-2012/the-curators-show/tom-dixon-museo-nazionale-della-scienza-e-della-tecnologia/
La Rinascente
www.dezeen.com/2012/04/18/hacked-lab-at-la-rinascente/
http://hackedmilan.it/hackedmilan/en/home
Mini
www.minispace.com/it_it/article/salone-2012-color-one/672/?eid=672
Mostra RCA
www.domusweb.it/it/news/royal-college-of-art-paradise/
Bezalel
http://designbonanza.weebly.com/the-exhibition.html
The Analogia Project
www.analogiaproject.com/Site/Home.html
Big bang!
Tutte queste realtà ci stanno dicendo, più che mai, qualche cosa di significativo e la voce è fortemente internazionale. Il Fuorisalone, da quando è nato, ha sempre rappresentato una piattaforma incredibilmente generosa e prodigiosa, un’importante luogo di raccolta, un crogiolo unico al mondo (le repliche internazionali non hanno mai regalato tanto) capace di raccontare il nuovo, il prossimo passo, quello che verrà. Premonitore di attitudini, precursore di nuove linee di pensiero e produzione, riferimento di designer volenterosi che qui hanno sempre presentato le loro personali visioni. Il 2012 ci ha offerto centinaia di assolo, brevi sezioni solistiche dove ognuno ti invitava ad entrare nel proprio magico mondo molto geek, un mondo interpretato/manipolato/riprodotto/ri-editato attraverso un bilanciamento equilibrato di tecnologia/artigianale. Un mondo apparentemente omogeneo ma sostanzialmente frammentato, sfilacciato, dove tutti stanno interpretando questa fase di passaggio epocale con espressioni iper-personalizzate. Un futuro ancora molto impalpabile. Le opere sono tutte prove rudimentali/primitive in modalità di produzione/espressiva che forse vedremo, piano piano, palesarsi sotto i nostri occhi ma che oggi è ancora molto fuzzy.
Le grandi aziende sono perse e quindi, senza il dono della preveggenza, guardano indietro per estrapolare le parti solide del loro know-how nel tentativo coerente di andare avanti. I designer non hanno più i grandi riferimenti dell’industria manifatturiera di una volta, non hanno più quell’accesso al dialogo privilegiato imprenditore/designer come fu per i grandi Maestri del Design Italiano. Ahimè, al momento siamo a molioni. I progetti spesso non arrivano alla produzione ma diventano solo delle performance. Da anni il focus si è spostato sui prodotti di lusso, sui servizi e sul retail, al disegnatore industriale che esce dalle università non resta altro che autoprodursi.
La narrazione in questo contesto la fa da padrona, tutto è processo, tutto è raccontato, tutto svela mondi personali, anfratti, aneddoti, interstizi, intercapedini, intersezioni, frammenti, dettagli, uno zoom-in e uno zoom-out contenutistico sempre più vicino ai comportamenti che stanno a metà tra il reale e il simulato, come se fossimo davanti al computer con il nostro software aperto.
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