Sonar: segnali di mobilità in-sostenibileDisabili e anziani: perché ha senso parlarne assieme

Ho partecipato a un convegno su innovazione tecnologica e responsabilità sociale. Un’ottima occasione per rendersi conto dello stato dell’accessibilità digitale in Italia. Ma non solo. La metafora ...

Ho partecipato a un convegno su innovazione tecnologica e responsabilità sociale. Un’ottima occasione per rendersi conto dello stato dell’accessibilità digitale in Italia. Ma non solo. La metafora delle barriere digitali simili a quelle sensoriali o archittetoniche, come ben raccontato da Marco Bertoni, sintetizza che digitale o meno il tema di permettere l’accesso alle persone (disabili) ai servizi e alle informazioni resta una strada tutta da percorre. Perché? Io, dopo dodici anni sul campo, una mia idea me la sono fatta e credo di averne avuto conferma durante questo convegno.

Il mio intervento non trattava (questa volta) di accessibilità ai disabili in senso stretto, ma prendeva spunto da un progetto di supporto, integrazione, monitoraggio e abbattimento del digital divide rivolto agli anziani over75 che abbiamo condotto a Bolzano l’anno scorso. Forse ho toccato un tasto dolente: l’Onorevole Ileana Argentin mi ha fatto notare che accostare i disabili agli anziani non va fatto e non andrebbe mai fatto. La domanda è: perché? O meglio, perché “mai”?

Anziani e disabili secondo le categorizzazioni fiscali, sanitarie, politiche – è vero – sono due mondi a parte. Eppure a mio avviso hanno più di qualche esigenza in comune che la tecnologia può supportare. Chiunque se ne può facilmente rendere conto. Ad esempio:

  • Alcune tecnologie assistive come gli ingranditori per gli schermi dei pc, screen reader, mouse facilitati, sistemi di comando a riconoscimento vocale eccetera.
  • Alcune procedure per chi ha ridotta mobilità.
  • Alcuni accorgimenti per chi vive da solo e a fatica mantiene la propria autosufficienza.

Mica poco. E per non perdere l’occasione di estendere quella che – secondo me – una provocazione non è: uno straniero che non parla la nostra lingua non potrebbe forse essere considerato un disabile cognitivo? O chiunque di noi cada dal motorino e si rompa un braccio e non possa usare il mouse per tre mesi (copyright Bertoni, leggete di più su come la pensa Marco) non è forse disabile in quel contesto? Lo è temporaneamente, lo è in una fase della sua vita e quindi non rientrerà nella categoria sociale dei disabili. Così come un anziano. Ma lo è in quanto possibile fruitore di una tecnologia assistiva.

Se da un lato capisco perfettamente il mantenere la separazione di “competenze” per il rispetto della dignità della diversità, dall’altro vedo altro tra le righe e ritengo questa posizione come una delle cause se nel 2012 in Italia siamo ancora qui a parlare di questi temi in questi termini. In un’era di inevitabile condivisone digitale mi sembra paradossale insistere con i distinguo che ci devono essere, per carità, ma non più per partito preso. Fatti i distinguo è il momento di sfruttare la contaminazione, l’apertura, la curiosità. Dobbiamo parlare, spiegare, essere normali nella nostra diversità, diventare quelli che io definisco devianti positivi. Allora qui potremmo cominciare a dare un contributo: separiamo tecnicamente le categorie, ma lasciamo che su altri ambiti possano comunicare tra loro e quindi essere parte dello stesso convegno se il tema, ad esempio, è la tecnologia: un denominatore comune che può dare vantaggi ad entrambe.

Se esistono analogie tra le necessità degli anziani e dei disabili e se i numeri ci dicono che l’invecchiamento è uno dei mega-trend globali di cui noi italiani insieme al giappone siamo dei recordman, allora la logica mi fa pensare che c’è e ci saranno sempre più ricerca e investimenti e sperimentazione in quel settore e che la tecnologia stessa possa abilitare vie possibili per disegnare un nuovo modello di welfare. Non è forse il caso di sfruttare questa occasione a tutto tondo?

Vedo tre ragioni sulle quali potremmo fare un salto decisivo

  1. Effetto Cyrano: continuare a ghettizzare serve a poco o nulla. Continuare a considerare l’accessibilità solo dai lati formali/fiscali o etici impedisce che la gente si avvicini e capisca. Per un effetto ronstandiano non possiamo parlare del naso di Cyrano. Come se lui non sapesse di averlo. Lavorando e conoscendo persone disabili ho imparato a comportarmi per quello che sono. Non devo essere un altro, più compassionevole, più carino, più gentile, più attento. Devo essere solo quello che sono sempre stato. E lo devo sapere fin dal primo giorno di scuola.
  2. Follow the money: per le stesse ragioni di cui sopra, per il campanilismo (e a volte per il tutti contro tutti delle associazioni che allo stremo delle risorse battagliano in assurdi campionati di disabilità di serie A e serie B) e la paura di essere superati/fagocitati dall’industria si tende a non considerare questo tema dal lato del business. Il business c’è (si stima che la comunità dei disabili controlli un reddito discrezionale di oltre 175 miliardi dollari ogni anno negli Stati Uniti, secondo l’U.S. Department of Labors) ma sarebbe comunque ben più sostanzioso se lo si intendesse per sviluppare soluzioni dedicate a un target straordinariamente più ampio come quello degli anziani o degli stranieri. Solo così l’industria si muovebbe in massa, solo così l’accessibilità potrebbe diventare una commodity anziché un costoso optional.
  3. Diritti oggi: i cittadini, di qualsiasi tipo, non vogliono favori, vogliono il rispetto dei loro diritti. Una responsabilità che incontra tutti i fronti, pubblico come privato. Sul pubblico bisognerebbe far sì che alcuni concetti di base si dessero finalmente per acquisiti e se poi la paura è che qualcuno truffi lo stato con un permesso disabili falso si prenda il truffatore e lo si spedisca a fare servizio civilie a spese sue. Per sempre. Ma anche il privato deve fare ancora davvero tanto: in un mio post precedente facevo presente che una nuova strategia di marketing per i vettori di trasporto aereo potrebbe essere, ad esempio, quella di dare biglietti con forti sconti ai disabili. I commenti al post mi hanno fatto presente che di quelli se ne deve occupare la cosa pubblica, perché mai un imprenditore privato? E qui ve la dice lunga della strada che c’è da fare: perché, forse i disabili non riguardano anche noi oltre che lo Stato? Perché, forse un disabile non viaggia magari con degli amici? Perché, forse un disabile non viaggia anche per divertirsi (o è sempre in viaggio per andare in qualche ospedale)? Perchè, forse i servizi accessori non si possono far pagare lo stesso (hotel, pacchetti etc)? Perchè, forse in sostanza, non è un mercato anche questo?

Spesso in nome della difesa della dignità delle diversità non favoriamo un confronto che potrebbe essere la salvezza in un periodo di contrazione, ma anche una strategia oltre le contingenze. Non esistono grandi civilità o piccole civiltà, esiste la civiltà. Non esistono disabili o vecchi, esistono le persone. E anche un qualsiasi convegno può essere l’occasione per provare a sottolinearlo. Insieme.

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