To tweet or not to tweet?
Lo studio di due psicologi di Harvard, Diana Tamir e Jason Mitchell, è stato ripreso prima dal Wall Street Journal e, successivamente, anche da diversi media italiani.
I due neuroscienziati, con la tecnica della risonanza magnetica funzionale, hanno cercato di investigare le motivazioni profonde di quello che loro chiamano il ‘self-disclosure‘.
La rivelazione di sè: meno prosaicamente, “mettere in piazza i fattacci propri“.
L’esperimento ha un interesse particolare se si pensa al fenomeno dei social network, da Facebook a Twitter.
Passando, però, anche per mezzi più tradizionali quali i blogs.
Qual è l’istinto irresistibile che ci spinge a parlare di noi? Qual è la formula del narcisismo?
I due ricercatori hanno sottoposto un campione di persone (prevalentemente di nazionalità americana e che abitavano nei pressi dell’università) a test di laboratorio in cui si verificava la predisposizione a parlare di sè.
Come?
Ai vari soggetti si proponeva un questionario, con l’offerta di un incentivo monetario a chi decideva di rispondere a domande concernenti altre persone (per esempio, domande su Obama Barack).
Nonostante la remunerazione, si è notato che le persone preferivano spesso parlare di sè, quasi attaccando un valore intrinseco a questo fatto.
Pare che, in queste circostanze, si attivino aree del cervello che appartengono al sistema domaninergico meso-limbico, associato al senso di ricompensa o di soddisfazione (da cibo, sesso o denaro).
Insomma, twitta che ti passa! Datemi un like e solleverò il mondo.
N.B. Il sistema dopaminergico dell’autore di questo blog potrebbe pruriginosamente scatenare un inferno sinaptico in funzione degli share ricevuti