Pur nelle sue luci e ombre, la tanto bistrattata Lady di Ferro aveva delle idee molto chiare sulla società e sul ruolo dello Stato. Era certamente figlia di una mentalità molto lontana dalla nostra cultura mediterranea, ma alcune sue parole possono insegnarci ancora qualcosa:
“One of the great debates of our time is about how much of your money should be spent by the State, and how much you should keep to spend on your family. Let us never forget this fundamental truth: the State has no source of money other than the money people earn themselves. If the State wishes to spend more it can do so only by bothering your savings or by taxing you more. And it’s no good thinking that someone else will pay, that’s someone else is you. There is no such thing as public money, there is only tax-payers’ money.
Prosperity will not come by inventing more and more lavish public expenditure programmes. You do not grow richer by ordering another cheque-book from the Bank. No nation ever grew more prosperous by taxing its citizens beyond their capacity to pay. We have a duty to make sure that every penny piece we raise in taxation is spent wisely and well. […]
Protecting the taxpayer’s purse, protecting the public services—these are our two great tasks, and their demands have to be reconciled. How very pleasant it would be, how very popular it would be, to say “spend more on this, expand more on that.” We all have our favourite causes—I know I do. But someone has to add up the figures. Every business has to do it, every housewife has to do it, every Government should do it, and this one will.”
(Uno dei grandi dibattiti del nostro tempo riguarda quanto del vostro denaro dovrebbe essere speso dallo Stato, e quanto invece dovrebbe essere risparmiato e speso dalle vostre famiglie. Fate in modo di tenere a mente questa verità fondamentale: lo Stato non ha altra fonte di reddito se non i soldi che i cittadini guadagnano. Se lo Stato vuole spendere di più può farlo solo intaccando i vostri risparmi o tassandovi di più. Ed è inutile illudersi che qualcun altro pagherà il conto, perché quel “qualcun altro” siete voi. Non esistono i soldi pubblici, esistono solo i soldi che i contribuenti danno al settore pubblico.
La prosperità non si realizza inventandosi sempre più programmi scialaquatori di spesa pubblica. Non si diventa più ricchi ordinando un nuovo libretto degli assegni in banca. Nessuna nazione è mai cresciuta tassando i propri cittadini oltre la loro capacità di pagare. Abbiamo il dovere di assicurare che ogni penny di ulteriore tassazione sia utilizzato in modo saggio e opportuno. […]
Proteggere il portafogli del contribuente e proteggere il servizio pubblico sono i nostri obiettivi principali, e queste due esigenze devono essere conciliate. Sarebbe davvero piacevole e popolare poter dire “si spenda di più su questo, si espanda su quest’altro”. Abbiamo tutti delle cause e delle ragioni che ci stanno a cuore, lo so bene. Ma non si può evitare di far tornare i conti. Ogni attività economica lo deve fare, ogni casalinga lo deve fare, e ogni Governo dovrebbe farlo. E questo Governo lo farà.)
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Mi rendo conto che queste parole possono sembrare delle banalità ma forse non sono poi così ovvie. Si pensi ad uno strumento comune come l’accredito dello stipendio con ritenuta alla fonte, che permette ai lavoratori dipendenti di trovarsi in banca il netto del salario già trattenuto delle imposte dovute: per quanto sia comodo, in questa modalità si perde un po’ la prospettiva del rapporto fisco-contribuente, e si percepisce in maniera distorta l’ammontare della tassazione e la giustezza della stessa.
Le tasse è giusto che esistano e vanno pagate per fornire quei servizi pubblici fondamentali che rendono una società più equa e, sì, anche più efficiente (perché ordine pubblico, infrastrutture, giustizia, istruzione e sanità permettono alle persone di vivere senza dover imbracciare le armi per difendersi, di istruirsi per migliorare il proprio capitale umano, di essere curate se si ammalano e di veder riconosciuti i propri diritti quando vengono lesi).
Ma non andrebbe mai dimenticato che le risorse drenate dalle disponibilità individuali per essere utilizzate dalla Pubblica Amministrazione richiedono di essere spese per offrire servizi utili ai cittadini, e che la fatica e l’impegno che i lavoratori hanno messo per produrre quelle risorse esigono un utilizzo senza sprechi e che offra tali servizi minimizzandone i costi. Il che vuol dire, anche se può non piacere, che una mentalità più aziendalista farebbe molto bene al nostro settore pubblico, alla faccia di banalità tipo “i servizi pubblici non devono sottostare alle logiche economiche”: invece è proprio perché non vi sottostanno che i soldi vengono sprecati in maniera indecorosa.
L’utilizzo ottimale delle risorse non è di destra né di sinistra, è semplicemente ragionevole. Alcune semplici cose come una maggiore responsabilizzazione (quell'”accountability” difficilmente traducibile in italiano) dei dirigenti pubblici, un utilizzo più trasparente delle risorse e il rispetto del principio per cui nuove spese vengono fatte solo se si dimostra, dati alla mano, di avere la copertura per farle, sono puro buonsenso (e in quanto tali ovviamente non vengono nemmeno prese in considerazione dai nostri governanti).
Sbaglia chi pensa che i virtuosi paesi nordici (Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda), presi d’esempio da chi vorrebbe che lo Stato fagocitasse sempre più soldi, abbiano un’economia statalizzata dove il settore pubblico si occupa di tutto. Non è per nulla così, e anzi quei paesi hanno capito molto meglio di noi l’importanza della libertà economica e della concorrenza (variabili per le quali sono sempre fra le prime nei ranking internazionali) e di un settore pubblico funzionante ma non oppressivo. Tanto per dire, negli ultimi anni quindici anni gli svedesi hanno tagliato la spesa pubblica, invece di aumentarla come tutti gli altri (fonte: The Economist).
La lezione è molto semplice: non spendere tanto, ma spendere bene. E, no: purtroppo è molto difficile spendere tanto e spendere bene.
Ma oltre alle ovvietà su cui tutti sono d’accordo (tagliare i costi della politica, abolire le province, diminuire gli stipendi dei manager pubblici), questo significa anche ridurre il numero di lavoratori pubblici nei ruoli e nei settori in cui sono in sovrannumero, permettere di licenziare chi non fa bene il proprio lavoro (premiando invece chi lo fa con impegno e risultati), non avere pensioni con importi all’80% dell’ultimo stipendio ma proporzionate all’ammontare dei contributi versati, e contenere quei costi che lievitano solo per corruzione e clientelismo (ad esempio nelle voragini della sanità).
Economics of common sense, bisognerebbe iniziare ad insegnarla nelle università.