Non c’è modo migliore di cominciare questo post che con una nota personale: Linkiesta day è stata una delle esperienze più memorabili della mia pur piatta vita. La riunione di redazione al mattino, la discussione dei temi del giorno, il grandissimo direttore Tondelli che assegna i pezzi a noi blogger. E poi la ricerca di notizie per uscire con un pezzo decente, questo sì questo no, una selezione della miriade di informazioni in rete, la rincorsa al telefono per strappare la dichiarazione utile. Il pezzo da scrivere, l’aiuto di uno dei massimi esperti di Movimento 5 Stelle in Italia, Paolo Stefanini. Mi è stata sbattuta in faccia la dura verità: il giornalismo è quello che voglio fare per il resto della mia vita. E’ come una cotta adolescenziale: se n’è andata, è tornata, se n’è andata di nuovo ed è ritornata. Questa volta definitivamente, ne sono certo. Grazie.
Chiusa la nota personale, voliamo con la mente a Washington. E’ la notte del 17 giugno, inizio estate. Fa caldo. Una guardia giurata del Watergate Hotel nota uno strano pezzo di nastro tra il pozzo delle scale e il parcheggio sotterraneo. Lo rimuove. Passa qualche minuto di perlustrazione qua e là. Avanti e indietro, avanti e indietro. Poco dopo è ancora davanti a quella porta, il nastro nuovamente al suo posto. Qualcosa non quadra, la polizia viene allertata. Vengono arrestati cinque uomini sorpresi ad entrare nel quartier generale del Comitato Nazionale Democratico, cuore della campagna presidenziale di Mc Govern, lo sfidante del Presidente Nixon, che ha sede proprio nel Watergate Hotel. Il Washington Post non dà troppo peso alla notizia, se ne occupano due inviati di quart’ordine: Bob Woodward e Carl Bernstein. Bob è un ex ufficiale di marina votatosi al giornalismo, la passione deducibile dalla sua scalcagnata carriera. Carl è figlio di comunisti ebrei epurati dalle follie Maccartiste di inizio anni ’50. La fama che li circonda è poca, nessuno sa chi siano, nessun articolo memorabile prima di quella notte. Insieme lanceranno un’inchiesta destinata a travolgere Nixon, la Casa Bianca ripulita dalla sua macchia. Gli annali di storia si riempiranno dei loro nomi, film e tributi in loro onore si sprecheranno.
Li immagino così, nel buio di un garage di Washington, rapiti dalle informazioni di Gola Profonda, la fonte, per condurli sulla pista giusta. Un lavoro certosino, più investigatori che cronisti, o forse il giornalismo era e rimane una sublime forma di investigazione. Sono passati quarant’anni da quella notte. Cambiano i mezzi a disposizione, internet ha spalancato porte inimmaginabili, le notizie amplificate con un click. L’identità della fonte non sarebbe rimasta segreta più di qualche settimana. La tecnica però rimane la stessa, l’ultima inchiesta di Nuzzi sui corvi in Vaticano sta lì a ricordarlo: i documenti consegnati a mano, è più sicuro; Fonte Maria che manda due emissari a testare il nerbo del giornalista. L’attenzione ad ogni singolo spostamento, si sa mai che ci sia qualcuno in appostamento, meglio guardarsi le spalle. Una differenza: la progressività. Gli articoli di Bernstein e Woodward venivano proposti di continuo quasi fossero un aggiornamento, un appuntamento nuovo. Quasi ci fosse un intreccio, un capo e una coda. Oggi non sarebbe possibile: il clamore esagerato metterebbe in crisi l’impianto dell’inchiesta, la fonte potrebbe sottrarsi al rischio. Nuzzi riceve, elabora e pubblica; l’esito è lì, davanti agli occhi di tutti: incontrovertibile. Segno che il giornalismo investigativo non è morto, basta solo qualche accorgimento.