AsterischiL’estate uccide, i libri (forse) ci salveranno

(Alfred Kubin) Non sappiamo dalle vostre parti, ma in Sicilia sembra di vivere un calvario di fuoco. Insomma, ci svegliamo con le tempie abbracciate dal sudore e non c’è verso di trovare riparo. I...

(Alfred Kubin)

Non sappiamo dalle vostre parti, ma in Sicilia sembra di vivere un calvario di fuoco. Insomma, ci svegliamo con le tempie abbracciate dal sudore e non c’è verso di trovare riparo. I pochi abiti che indossiamo sembrano carta moschicida e vi assicuriamo che l’estate catanese riproduce le atmosfere tipiche di un vecchio noir in bianco e nero, solo che la pioggia che copre il suolo è il sudore che cola ad ogni piè sospinto mentre l’oscuro e il marcio che ci abbracciano derivano dalle nostre lenti scure e dagli improperi che senza tregua lanciamo contro l’asfalto che sinuosamente si sfalda sotto i nostri calzari di gomma fusa. Ancora una volta abbiamo chiesto aiuto ai libri, perché come dice Calvino in Lezioni americane “la letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione”. E allora ecco qua la missione impossibile: salvaci dal caldo siciliano.

Allora abbiamo passato in rassegna libri freschi freschi, che suggerissero città sottomarine, fughe in apnea, insomma un profluvio di verbo e acqua. E così cominciamo con un classico di Ray Bradbury (tra l’altro omaggiandolo, visto che è morto solo qualche giorno fa) che si chiama appunto L’Estate incantata. Anche perché un libro di Ray che rinfresca, anziché incendiare come i pompieri di Fahrenheit 451, è davvero roba rara.

«Niente al mondo poteva andar bene tranne l’acqua pura che avesse origine nei laghi lontani e nella rugiada che di mattina bagna i prati d’erba; acqua, cielo, trasportata per millecinquecento chilometri dalle nuvole pesanti, sferzata dal vento, attraversata da correnti ad alto voltaggio, condensata infine nell’aria fresca. Quando pioveva quell’acqua racchiudeva in ogni goccia una parte di cielo. Il vento dell’ovest, dell’est, del nord e del sud facevano la pioggia, e la pioggia in quell’ora di riti, dava il suo contributo per far nascere il vino.
Douglas si precipitò con il secchio e lo immerse nella cisterna dell’acqua piovana. “Eccoci!”
L’acqua pareva di seta: seta chiara, d’un vago color azzurro. A berla faceva sentir morbide le labbra, la gola e il cuore. Bisognava trasportarla in cantina nei secchi e nelle tazze, e là farla scorrere a rivoli, a torrenti sul raccolto dei fiori.

C’era odore di pioggia. Alle spalle di Tom la mamma stava stirando e spruzzando acqua da una
bottiglia di ketchup sui vestiti troppo asciutti.

E il mare la rimosse da riva.»

Se già state appena più freschi adesso vi faremo rabbrividire (anche di terrore) con La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge

«[…] Soffiava il buon vento, volava la bianca spuma,
seguiva libera la scia;
i primi fummo che irrompemmo
in quel tacito mare.

[…] Acqua, acqua, in ogni dove,
e le assi si flettevano;
acqua, acqua, in ogni dove,
e non una goccia da bere.»

Siccome dicono che il terrore faccia “gelare” il sangue, e da noi questo termine non significa più granché, allora continuiamo col grande Le Fanu, autore di Carmilla, la prima vampira della storia. Qui però siamo ne Il Patto col diavolo.

«Tra le brume spiraleggianti di questo bosco corre una forra, una gola profonda in cui l’immobilità dello scenario è rotta dal cupo borbottio di un ruscello montano che, tuttavia, nella stagione invernale si gonfia fino a diventare un torrente rapido e impetuoso.
C’è un punto in cui la forra cala a picco in un’angosciosa strettoia, le cui due pareti precipitano per un centinaio di metri, quasi perfettamente verticali. Gli allori selvatici che hanno piantato le loro radici nelle spaccature della roccia si sono talmente intersecati e avvinghiati tra loro, che a stento si può scorgere il ruscello che scintilla tra la schiuma laggiù, come esultando tra il silenzio e la solitudine che lo circondano».

Così dopo splendidi tuffi, non si può chiudere senza un passaggio che è metafora di vita, anche se in questo momento vorremmo fosse solo realtà di vita. Altro che metafora. Noi chiediamo al Kundera de L’immortalità di creare una macchina della realtà che ci renda fontane.

«Vivere: nel vivere non c’è alcuna felicità . Vivere: portare il proprio io dolente nel mondo. Ma essere, essere è felicità . Essere: trasformarsi in una fontana, in una vasca di pietra nella quale l’universo cade come una tiepida pioggia».

Se tutto questo non dovesse bastare allora vi diciamo di andarvene a chiedere ospitalità a Jules Verne, così da fare un viaggio nel mitico Nautilus di Ventimila leghe sotto i mari in compagnia del vecchio Nemo. E tanti auguri.

Filippo Grasso

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