Il marchese del GrilloMa che fine han fatto i Responsabili?

Ma che fine han fatto i Responsabili? Si sa che han cambiato nome, da gennaio si chiamano Popolo e Territorio, il senso della loro azione politica ai tempi dell’austerity Montiana rimane un mistero...

Ma che fine han fatto i Responsabili? Si sa che han cambiato nome, da gennaio si chiamano Popolo e Territorio, il senso della loro azione politica ai tempi dell’austerity Montiana rimane un mistero irrisolto.
Dovevano essere la terza gamba del Governo Berlusconi dopo il 14 dicembre, i loro voti indispensabili alla tenuta dell’esecutivo ricompensati da un’infornata di Viceministri e Sottosegretari. Catia Polidori allo Sviluppo Economico, Giampiero Catone all’Ambiente, Bruno Cesario, ex Pd e Api all’Economia. A Francesco Saverio Romano va meglio di tutti: Ministro delle Politiche Agricole al posto di Giancarlo Galan. Piccoli dettagli rimossi dalla memoria collettiva, il declino da basso impero del berlusconismo lontano anni luce.

Pezzo dopo pezzo, il numero dei componenti del gruppo PT è in continuo calo: dai 30 dello scorso anno ai 20 di oggi. Il più piccolo gruppo parlamentare insieme a quello dell’Idv. Grassano e Guzzanti, gli ultimi abbandoni in ordine di tempo.
Una miriade le componenti: dai sudisti di Noi sud ai centristi del Pid (Popolari per l’Italia di Domani), dell’Alleanza di Centro e della Democrazia Cristiana. Ci sono poi il Movimento di Responsabilità Nazionale di Domenico Scilipoti, Azione Popolare di Silvano Moffa, e i 7 deputati prestati dal Pdl per una questione di sopravvivenza, come se travasarli da un partito a un altro si rafforzasse la maggioranza. «Non penso ci sia alcuna possibilità che PT possa presentarsi alle elezioni», dichiara l’Onorevole Arturo Iannaccone a Linkiesta. Ed è facile capire il perché, l’unione di siffatta accozzaglia non ha alcun senso ora che Berlusconi ha smesso di governare.

«Lei ha deciso di abbandonare Popolo e Territorio…» «No, non è vero», continua Iannaccone, «semplicemente insieme agli Onorevoli Belcastro e Porfidia abbiamo capito che era meglio rappresentare le istanze del meridione nel gruppo Lega Sud Ausonia». Un poco illogico: Lega Sud Ausonia e PT sono due cose differenti ma tant’è. Almeno il tentativo di uscire dal mucchio l’hanno fatto; che sia o meno fruttuoso, poco importa. E sul sostegno al Governo Monti è lapidario: «La prima volta gli abbiamo dato la nostra fiducia, ma è da tempo che stiamo votando contro».
Chi si dimostra durissimo sulla linea del Governo è Francesco Pionati, il portavoce del gruppo. Basta scorrere la home page del suo sito personale per accorgersene. Il primo titolo che salta all’occhio è il comunicato di ieri: «Con alibi emergenza Italia è dittatura. La pagheremo cara». Ma anche «Dopo voto in Francia e Grecia, Italia unica anomalia», «Monti sempre in ritardo». Uno dei Deputati più assenteisti, Pionati: solo il 45% delle presenze in aula. Anche l’indice openpolis sulla produttività è tra i più bassi: 583esimo su 630.

Scorrendo distrattamente la lista dei membri, salta all’occhio il nome di Catia Polidori. Uno dei fondatori di Futuro e Libertà, ravvedutasi con la mozione di sfiducia del 14 dicembre 2010 per rientrare in gran pompa nell’ex maggioranza. Il coro di fischi che seguì il suo voto è una delle pagine più nazionalpopolari dell’attuale legislatura. Sembra più propositiva dei colleghi: il suo ultimo disegno di legge, presentato in questi giorni alla Camera, è una manna per le imprese. L’estinzione dei crediti nei confronti dello Stato. Sempre favorevole al Governo nei voti che contano.
Ma non manca una strizzata d’occhio ai suoi ex compagni del Pdl, i richiami al rilancio di un unico fronte moderato. In coda a una nota la si scopre vicepresidente della consulta attività produttive del suo vecchio partito. Un piede in due scarpe, insomma.

Forse è tardi per disfare il gruppo, la fine della legislatura è imminente. E’certo che la perdita di credibilità conseguente allo scioglimento non sarebbe maggiore di quella che ne ha segnato la nascita. Uno spreco che riporta alla Seconda Repubblica quando ci si illudeva di governare con una manciata di voti in più del minimo. Bastava la soglia di sopravvivenza e qualche nuovo fedelissimo che spuntava qua e là. Senza una precisa ragione, o forse sì. Ricordare da dove veniamo, le inchieste della magistratura sulla compravendita dei voti di fiducia, possono essere il modo giusto per accettare il presente con maggior leggerezza.

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