Arbe Garbe “Books Across Balkans”11/06/2012 DAL TERMINAL DI BELGRADO ALLA BIBLIOTECA NAZIONALE SERBA

YOU ARE ARRESTED! Arriviamo al Terminal di Belgrado in mattinata. Il furgone è già all’interno in attesa che sdoganiamo i libri. Sarà una lunga giornata di documenti, mail, fax e telefonate. Uno d...

YOU ARE ARRESTED!

Arriviamo al Terminal di Belgrado in mattinata. Il furgone è già all’interno in attesa che sdoganiamo i libri. Sarà una lunga giornata di documenti, mail, fax e telefonate.
Uno dei custodi ci riconosce e ci viene a salutare. Un piccoletto con una pistola grosso calibro che gli penzola sotto una camicia sudata già di primo mattino. Ci ha presi in simpatia e ci indica l’ufficio dello spedizioniere che stiamo cercando, un prefabbricato di legno al centro del terminal in cui troviamo due cose tipiche in questi posti: aria condizionata a temperature polari e impiegato burocrate in atteggiamento da super poliziotto che, logicamente, non parla una parola di inglese. Fortunatamente Zograf è con noi e ci aiuta a tradurre col suo straordinario modo flemmatico e compassato, riuscendo ad essere sempre cortese, preciso ed affidabile.
Dopo mezz’ora buona passata a dare spiegazioni e a compilare carte, lo spedizioniere ci consiglia di andare a farci un paio di birre al bar del Terminal, il che, tradotto dal gergo tecnico, significa che i tempi saranno mostruosamente lunghi.
Dentro l’affollato salone del bar, tra tavolini e portacenere sovraccarichi, inganniamo il tempo con una gara di disegno che coinvolge anche l’amico fumettista. Io disegno un paperino di profilo che sembra un po’ troppo gonfio ma riconoscibile. Flavio traccia sul foglio una capra con impeccabile stile da scuola materna. E’ il turno di Zograf, che traccia sul foglio la sagoma di un agente con paletta inserendoci presto il fumetto.
“You are arrested”. “All of you”.
Siamo già al secondo caffé e ancora niente accade.

POPOLO DI GUERRIERI

Il resto del gruppo è rimasto fuori e comincia a confondersi col sottobosco di perdigiorno, rom venditori e camionisti, mentre noi rimaniamo in allerta dell’imminente chiamata.

Ci spostiamo sotto l’ombra di quattro tigli piantati sul retro del bar, in mezzo ad un’umanità prevalentemente maschile che si aggira tra di noi con l’indolenza propria della frontiera.
A qualche metro di distanza un gigante parlotta pigramente con un altro colosso fumando una sigaretta che sembra perdersi nelle sue mani.
“Sono enormi!” mi lascio sfuggire con Zograf. “Sì”, sottolinea lui, dandomi una breve ed interessante teoria sulle dimensioni over size di molta gente di qui.
Ci troviamo infatti in quella che fu l’antica provincia romana della Mesia. Un posto di frontiera in cui, a turno, fecero capolino tutti i popoli smaniosi di riversarsi nell’Impero con le buone o con le cattive. Leggenda vuole che in queste lande di confine adagiate sul Danubio, Roma abbia inviato i soldati più grossi e vigorosi, come disincentivo per questi vicini bellicosi e piuttosto mal disposti.
Sarebbe stata questa specie di selezione massale ad aumentare il numero di giganti tra i serbi, almeno stando alla suggestiva e semiseria versione di Zograf.
Eppure l’unico armato qui al Terminal è l’ometto con la camicia sudata, un metro e sessanta misurando anche la pistola, che proprio mentre ci chiamano all’ufficio della dogana mi si attacca di nuovo addosso con mille discorsi.
Il tipo si è fatto tutta la guerra in Bosnia e inizia a spiegare parecchi dettagli della vicenda, a volte non richiesti, a volte inventati, altre non condivisi affatto, come quando ridimensiona il massacro di Srebrenica ad una scaramuccia gonfiata dalla propaganda anti Milosevic.
Rimango a farmi arrostire dal sole mentre il piccoletto alterna aneddoti affascinanti ad altri raccapriccianti o inventati di sana pianta, poi gli spiego che siamo in attesa di sdoganare una donazione di libri raccolti in tutta Italia.
“Libri? Era più facile se portavate con voi Kalasnikof” mi dice in un sogghigno, poi saluta torna a gestire la coda di camion che si perde lontana, tra le bancarelle del piccolo mercato dalla parte opposta all’ingresso, dove gli altri della crew stanno ancora aspettando il nostro arrivo.

LA BIBLIOTECA NAZIONALE SERBA

Dopo sette ore riusciamo a ripartire col furgone dei libri per Croazia e Bosnia. Quelli per la Serbia saranno recuperati presto dalla Biblioteca Nazionale Serba a cui andiamo a far visita adesso.
Scendiamo dai furgoni nel centro di Belgrado, proprio sotto la biblioteca, dopo una giornata durissima, e saliamo nella sala riunioni a goderci un’ospitalità principesca, tra vassoi di tramezzini, bevande fresche, caffé turco e fantastici dolci farciti di cioccolata.
“Avete attraversato il Golgota per venire qua”, ci dice la segretaria che ci accoglie.
Seduti attorno all’enorme tavolo rotondo delle riunioni ascoltiamo con interesse la storia della struttura, inevitabilmente legata alla crisi della Serbia.
La biblioteca è enorme, contiene circa 5 MILIONI di documenti, tra libri, manoscritti, pubblicazioni, file digitali ecc. ma i problemi non mancano, vista la situazione ancora critica dell’economia.
Eppure, il danno più grave che la biblioteca ha subito, e che fa ancora sentire le sue conseguenze, risale ai bombardamenti nazisti di Belgrado avvenuti nel 1941.
La biblioteca finì sotto le bombe e molti manoscritti medievali furono distrutti dagli incendi andando distrutti per sempre.
E’ strano il rapporto che lega i serbi al loro passato. Sembra un legame rivendicato, esaltato, ma sempre, in qualche modo, irrisolto.

Di fronte alla biblioteca stanno terminando la costruzione della cattedrale di San Sava, fondatore della Chiesa serba e protettore dell’istruzione e della medicina. Un enorme edificio in via di costruzione.
Siamo fermi proprio davanti alla struttura, ascoltando in cerchio la segretaria che ci fa da guida per l’occasione, quando un pope cerca di coinvolgerci per l’imminente funzione. Decliniamo l’offerta, anche perché saremmo ben poco partecipativi durante una messa ortodossa recitata in serbo, ma entriamo nella cattedrale lo stesso.
La chiesa è destinata ad essere una tra le più grandi chiese ortodosse di sempre. Sono diecimila le persone che possono raccogliersi sotto i trenta metri di alzato interni. Un vero e proprio riscatto per gli ortodossi, visto che stanno cercando di completarla a fatica da più di un secolo, costretti a rimandarne il completamento a causa di guerre interne, invasioni naziste, e scarsa propensione del regime di Tito per gli edifici di culto così imponenti.
Dal 1984 i lavori sono ripresi, intensificandosi negli ultimi anni anche a causa del valore simbolico dell’edificio dopo le recenti guerre.
Nonostante gli sforzi però, la chiesa è ancora incompleta e i finanziamenti sono discontinui. Non è ancora possibile capire quando i lavori saranno ultimati. Sembra quasi che anche il passato, a volte, abbia difficoltà a chiudere i conti con i serbi.

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