Ci si può fidare della poesia di Giovanni Giudici, il poeta ligure “diseducato a Roma e poi redento a Milano”, come amava definirsi con un sorriso. Della sua voce vivace e ironica, mai retorica ma neanche narcisista, e della sua opera che, coltivata nel tempo della neoavanguardia, resta sempre autonoma e geniale in tutto l’arco di una lunga e discussa parabola letteraria. Anche se spesso s’inventa un alter ego, un sosia impiegatizio per raccontare le frustrazioni del ceto medio negli anni Sessanta, in questa composizione dell’ultimo periodo (da Eresia della Sera, Milano, Garzanti, 1999) è il Giovanni Giudici poeta che illumina la sua controfigura umana, indicandogli dove davvero si trovi la gemma nascosta nelle pieghe mnemoniche della sua esistenza.
E’ fatta, lo zenith è stato superato di colpo, quasi senza che ce ne accorgessimo, mentre eravamo intenti a monitorare l’andamento dei mercati finanziari e a decidere dove trascorrere le vacanze, tra l’ennesimo viaggio in India alla ricerca di noi stessi e la milionesima isoletta greca per fuggire da noi stessi. Non è abbastanza tragico e sconfortante che questa lapalissiana constatazione avvenga realmente soltanto in quell’età nella quale imbocchiamo senza freni la discesa della nostra esistenza, dopo esserci per anni imbottiti l’anima di una miriade globalizzata di fantasie su cosa avremmo fatto della nostra vita?
Il fuoco superstite, il carboncino che ci ritroviamo a contemplare, persi nella meraviglia di una storia che – lo comprendiamo solo ora – è stata la nostra, ci riportano allora ai granelli di sabbia dorata che un altro grande poeta, Edgar Allan Poe, nella poesia Un sogno dentro un sogno descriveva come sfuggenti tra le nostre avide mani, vanamente protese nel tentativo disperato di stringerli, conservando così l’essenza di qualcosa che non abbiamo forse compreso appieno ma di cui, ne siamo dolorosamente certi, stiamo per sentire l’assenza.
Se tutto va come deve quest’esperienza non ci sarà risparmiata: godiamocela almeno fino in fondo mentre lanciamo l’ultima occhiata nostalgica al tramonto che sta infuocando dietro i vetri della finestra. E se quello che troveremo dentro noi stessi non sarà oro diamo pure la colpa al destino che ci ha incatramati e come potevano i nostri desideri prendere la giusta forma. Catrame del destino. Non dà un brivido? Come tutte le cose di cui senti nel profondo verità e bellezza. Buone vacanze.