Quando sei mamma, sarai solo e per sempre mamma?
La risposta, tutta personale, è no. Ed avrei voluto che qualcuno mi ci avesse portata, a questa risposta, molto tempo fa, quando mi sono abbandonata alle lancette del mio orologio biologico che bene scandivano i giorni, le ore ed i minuti che mi separavano dal mio divenir madre.
Non c’è mai stato dubbio, per me: io non sarei cambiata con l’arrivo di un figlio. Un po’ ci speravo, a dire il vero, per questioni pratiche più che altro: “che fai nella vita?” la risposta sarebbe stata una, sola ed inequivocabile “LA MAMMA”. Ma la mia identità è così cosciente e vigile, appiccicata con la colla a me stessa, tanto che nulla potrebbe cambiarmi. O meglio, mai potrei essere madre e solo madre. La mia complessa e variegata personalità, ha senz’altro dovuto fare spazio a questo nuovo status, ma, che io sappia, non ha soppiantato quello vecchio: la mia carta d’identità, recentemente rifatta, non cita, come professione, quella di madre full time. Allegra-mamma non ha mai prevalso su Allegra-non mamma. Come può una donna improvvisamente divenire altro con l’avvento di un figlio? In Italia il tasto è delicato. Guai a dichiararsi poco mamme, mamme annoiate, mamme smarrite, mamme che desiderano (qualsiasi cosa). Non mi era chiara la trasformazione del genere umano da sano di mente, a malato di mente. Immaginatevi da donna a madre (e l’esempio che cito è emblematico a far comprendere il mio amorfo punto di vista). Com’è possibile cambiare così radicalmente, abbattere abitudini e gusti, priorità e orari (ancora ancora), stile di vita e lavori? C’era qualcosa che non mi quadrava. Certo, se hai un figlio te ne devi occupare, la vita cambia, non c’è dubbio. Ma da lì allo stravolgimento totale, unico ed irreversibile, no: ne occorre tanta di buona volontà per farsi stravolgere la vita. A me suonava strano, soprattutto quando tutto ciò, proprio non mi accadeva. Ero una mamma spensierata, felice di continuare a lavorare, da casa ed in seguito dall’ufficio, di guadagnare i miei soldi e di riappropriarmi della mia vita a 5 mesi dalla nascita di Viola. “Signora lei ha partorito una splendida bambina di 4 kg e 100!”. “Grazie, allora mi merito un vodka tonic adesso?”: non ne bevevo uno da 10 mesi. E non era indispensabile il vodka tonic in sé. Erano tutte le varie rinunce che mi pesavano. Ed erano state tante. Desideravo con tutta me stessa abbandonare quel corpo così mutato per tornare ad essere quella che ero: il corpo era un pretesto, in realtà cercavo disperatamente di sentirmi a mio agio in quei nuovi panni di madre-solo-madre (i primi giorni non c’è via di scampo). L’istinto era arrivato tutto: sapevo esattamente cosa fare. Decisa e sicura, tranquilla, non sconvolta-stravolta-voglio-solo-vivere-di-figli-è-giunta-la-vocazione. No. Ero mamma, ma da un lato non mi sentivo diversa più di tanto. Solo con qualcosa in più di meraviglioso che peraltro non mi apparteneva. Capivo quanto Viola fosse una persona a se stante, separata da me, non mia in alcun modo. Credevo fosse a causa del tipo di parto subito perché intorno a me, nuove madri parlavano solo di amore incondizionato, di legami fortissimi e morbosi, di impossibilità di distacco. Ero forse un mostro io che non sentivo tutte queste sensazioni verso mia figlia? Perché dopo averla allattata una decina di volte, anziché sentirmi in estasi, mi sarei solo scolata litri di birra, fumata 20 sigarette e magari ballato a qualche festino su una spiaggia con gli occhi a cuore? Perché era così difficile da capire che io ero io e che tenevo a me stessa ed alla mia vita in modo profondo ed assoluto nonostante avessi appena avuto una figlia e che tutto sommato era giusto che non la sentissi mia? Mi sentivo sola in questo pensiero, coetanee altrettanto neo madri erano felici di praticare tutte le rinunce possibili, a cominciare dal marito e dal sesso, per finire con le uscite, il volersi divertire, voler trascorrere del sano tempo con persone ignare dell’esistenza di pargoli e pargoletti. Io desideravo solo continuare la mia vita di sempre con dettagli in più, tra questi, non ultimo, mia figlia. Forse sono stata fortunata con le ore di sonno mie e sue (12 a notte), con l’allattamento (3 mesi), con la mia operazione e con il suo buon carattere. A me non ha pesato avere una figlia, sia chiaro, piuttosto hanno pesato le aspettative sociali che si sono create intorno ad una neo mamma, al cambiamento di ruolo che le viene imposto come se quello di madre fosse l’unico ruolo possibile. Alle aspettative della società corrisponde poi un quadro di vita drammatico fatto di disperati tentativi di ripresa della propria vita senza ricevere tuttavia sussidi, aiuti o assistenza di alcun tipo. Sono stata fortunata e questo mi ha aiutata probabilmente a non cambiare più di tanto: me la sono cavata con il mio contratto a tempo indeterminato che mi ha assicurato maternità, stipendio e posto di lavoro e quindi la possibilità di finanziarmi da sola una baby sitter. Nella mia posizione fortunata e rara di madre lavoratrice, mi chiedevo come fosse possibile che la società considerasse normale e dovuto che noi, neo mamme, dovessimo rivedere priorità, aspettative e progetti di vita. Forse succedeva a quelle donne che non avendo un contratto a tempo indeterminato, non avevano altra scelta se non quella di rimanere a casa ed intraprendere dunque la carriera di madre? No no, conosco tante persone che hanno scelto di rinunciare alla propria vita, lavoro compreso, per scelta cosciente e volontaria. Da 5 anni a questa parte, da quando sono una giornalista diversamente occupata (cioé non me stanno a pagà), la vita mi si è un po’ stravolta riservandomi il ruolo di madre 24/7. Va benissimo così, ho uno spiccato istinto materno che mi guida e mi porta sempre a saper affrontare le situazioni più diverse e complicate. Tempo un mese e mi vendo tutte le borse vintage della nonna pur di avere una baby sitter che si occupi di mia figlia per almeno 6 ore al giorno. Per fortuna che a Londra la scuola dura fino alle 4. Volendo le 6. Mi basta aspettare Settembre.
30 Luglio 2012