Una firma di tutto riposoFollower falsi di Grillo: il povero Turing si rivolta nella tomba

Per essere anti-Grillo non è davvero una buona idea essere anti-Turing, ovverosia usare un robot per distinguere - tra i follower su Twitter di Beppe Grillo- gli umani dai robot. È uscita oggi l...

Per essere anti-Grillo non è davvero una buona idea essere anti-Turing, ovverosia usare un robot per distinguere – tra i follower su Twitter di Beppe Grillo– gli umani dai robot.

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È uscita oggi l’anticipazione di uno studio di Marco Camisani Calzolari, secondo cui il 54 percento dei follower di Beppe Grillo su Twitter sono presumibilmente dei robot, cioè non sono esseri umani. Sul tema ha già scritto qui in maniera egregia Paolo Bottazzini. Mi limito ad aggiungere qualche piccola notazione.

Il test di Turing, ideato dal matematico inglese che fu geniale precursore dei moderni computer, è il metodo standard per accertare il livello di intelligenza artificiale raggiunto da una macchina: una macchina è intelligente se un umano che interagisce con essa in un dialogo non è in grado di distinguerla da un essere umano. Naturalmente le risposte della macchina in tale dialogo devono avvenire in una forma neutra, che in sé non permetta di distinguere direttamente con chi si ha a che fare. In quale maniera? Ricevendo risposte dattiloscritte oppure –trasponendo la cosa all’oggi- attraverso un collegamento internet basato sul solo testo.

Camisani Calzolari prende un campione casuale di seguaci di Grillo su Twitter e costruisce un algoritmo automatico (cioè qualcosa di simile ad un robot non particolarmente astuto) che attribuisce ad ogni utente un punteggio di “umanità” e uno di “roboticità”. Ad esempio, un utente che utilizza Twitter tramite dispositivi diversi (ad esempio un computer ed uno smart phone) riceve tre punti di “umanità”, mentre un utente riceve un punto di roboticità per ogni caratteristica di umanità su cui non ha ricevuto punti (non tutte, solo alcune, vedi pagina 4 dell’articolo-originale).

Se per un certo utente il punteggio di umanità è superiore al punteggio di roboticità, allora tale utente viene classificato dall’algoritmo come umano; se invece il punteggio di roboticità è superiore di almeno quattro unità rispetto a quello di umanità, l’utente viene classificato come robot. Per valori intermedi della differenza tra i due punteggi la procedura classifica l’utente come “incerto”.

Intendiamoci: sono il primo a simpatizzare con procedure automatiche che permettono di classificare un ammontare amplissimo di dati e che –in quanto automatiche- possono essere replicate da chicchessia per verificare se il risultato è corretto. Non solo: la procedura automatica può essere applicata ad altri utenti o allo stesso utente in momenti diversi del tempo, così da effettuare confronti e analisi statistiche più raffinate.

Attenzione però al test di Turing, e all’eccessiva ambiziosità del quesito che si pone Camisani Calzolari: solo un essere umano può dire se una certa macchina è pensante, mentre non vale il viceversa: una macchina non può fornire nessuna conclusione finale sul fatto che un certo “ente” (in questo caso, un utente di Twitter) sia un essere umano o una macchina non pensante.

A parte i suoi meriti imprenditoriali, Camisani Calzolari non spicca per impatto sulla comunità scientifica, ma certamente –da docente in comunicazione aziendale allo IULM- conosce bene il modo in cui vendere ad un prezzo eccessivo (“oversell”, per chi ama l’inglese) i risultati delle proprie analisi, ovvero cercando di convincere l’interlocutore che essi siano più incontrovertibili di quanto non siano in realtà.

Le regole del marketing sono importanti, ma anche quelle della verifica scientifica non sono robetta.

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