Quando ieri ho appreso della manifestazione degli operai a Taranto in seguito al sequestro della magistratura dell’impianto a caldo dell’Ilva, “senza facoltà d’uso”, il mio pensiero è andato ad un racconto.In realtà un testo teatrale struggente come “Venticinque mila granelli di sabbia” di Alessandro Langiu, (qui ne potete vedere un estratto), autore tra l’altro di “Di fabbrica si muore”, la storia di Nicola Lovecchio morto di tumore al petrolchimico di Manfredonia.
Alessandro Langiu ci mostra una Taranto attraverso gli occhi di due ragazzini che vivono tra le “Palazzine Italia”, metafora, forse, del quartiere Tamburi, il più colpito dall’inquinamento dell’Ilva. Simbolo, in ogni caso, di quell’umanità popolare che vive a ridosso di tutte le aree industriali del nostra penisola, da Livorno a Casale, da Brescia a Marghera.
Dove “ci sta la polvere rossa che copre dappertutto”. Dove “ci sta poca luce” ma dove “ci sta pure” il campetto di calcio, dove il terriccio è misto alla sabbia rossa onnipresente.
Cosa è davvero la fabbrica che decide del loro destino, Mustazz e Nunzio, i giovani protagonisti del racconto, lo capiranno durante la gita in barca che, faranno con il nonno pescatore, nel Mare Piccolo.
Da lì, per un attimo e per la prima volta, distanti dalla città e dalle Palazzine Italia, assisteranno alla nascite delle nuvole. Ma quello che vedranno, davvero, sarà il fumo delle ciminiere. La nuvola rossa che copre e ammanta la città.
Quel fumo, ieri dalle bocche dell’Italsider, oggi dalle bocche dell’Ilva, non esce più. O meglio non così. Sparite le polveri, o rese meno visibili dai filtri particolato, i livelli di emissione delle diossine sono diventati accettabili . Eppure “la situazione dell’Ilva impone l’immediata adozione -scrive negli atti il Giudice per le Indagini Preliminari- a doverosa tutela dei beni che non ammettono contemperamenti, compromessi, o compressioni di sorta quali la salute e la vita umana, del sequestro preventivo”.
Già , perché le diossine si sedimentano nei tessuti grassi degli animali e ovviamente dell’uomo, dice lo stesso Ministero della Salute. Senza dimenticare i 174 morti accertati per tumore in 7 anni ( in 13 anni sarebbero 386 decessi totali, 937 casi di ricovero ospedaliero per malattie respiratorie, in gran parte tra i bambini, 17 casi di tumore maligno in età pediatrica) , ecco perché oltre i 2170 animali abbattuti, i 4 milioni euro di cozze appena sequestrate, a Taranto c’è la più alta presenza di diossine nel sangue materno . Fino a 20 picogrammi per grammo di grasso, quando la dose settimanale tollerabile è stata fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a 14. Come ai tempi di Seveso. O peggio.
Un veleno che arriva da lontano. Se la magistratura individua il dolo e la responsabilità del disastro ambientale negli attuali proprietari e dirigenti Ilva, ricordiamo che l’avvelenamento non è partito con la privatizzazione del 1995 ma almeno sessant’anni fa. Allora il proprietario dello stabilimento Italsider era l’IRI, di fatto, lo Stato italiano. Oggi tutti reclamano la riapertura dell’impianto,promettendo finalmente l’attenzione alle norme di tutela e sicurezza ambientale. Dallo stesso Ministro dell’Ambiente Clini, al presidente della Regione Puglia, agli stessi operai che in queste ore stanno protestando per il loro diritto al lavoro. Ai sindacati che oggi dicono “diritto al lavoro e diritto alla salute devono e possono andare di pari passo”.
Rileggo l’epilogo di “Venticinque mila granelli di sabbia”. Mentre uno dei due amici parte con il nonno e gli animali, l’altro rimane. Riceve dalle mani della madre ammalata una lettera.
“In conseguenza del pensionamento anticipato per le gravi condizioni di salute di sua madre il nostro aiuto e il tentativo di starle vicino di manifesta nella proposta di inserimento nell’organico del centro siderurgico Italsider, con la qualifica di metalmeccanico(..) “.
Mustazz contro il volere di chi lo ha generato rimarrà, e sogna lavorando, facendo i turni, chissà, di comprarsi la macchina e forse “la sua casa fuori dalle Palazzine Italia”:
Così oggi all’Ilva ci sono tanti Mustazz. L’ 80% dei dodicimila dipendenti ha un età tra i 20 e i 39 anni. Giovani uomini che hanno accettato e lottano per quel lavoro che avvelena il latte dei loro figli, l’unico possibile.
“Ma chi rimane sceglie di non vedere” dice la voce narrante di “Venticinque mila granelli di sabbia”
Ed è qui che vorrei che il racconto avesse un altro epilogo.
Che per una volta ci svegliassimo tutti insieme per reclamare insieme agli operai dell’Ilva, il diritto al lavoro. Ma anche e soprattutto il diritto alla salute. E alla vita.