Così è…se traspare. Storie di finanza e (mancanza di) trasparenza“Fermare il declino” dell’università: perché non utilizzare le mediane per la spending review?

Negli ultimi 10 anni il 50% dei professori italiani ha pubblicato poco o nulla, uno scenario sconcertante non tanto per il futuro, ma per come sono stati buttati i soldi in passato. Ed un banco di ...

Negli ultimi 10 anni il 50% dei professori italiani ha pubblicato poco o nulla, uno scenario sconcertante non tanto per il futuro, ma per come sono stati buttati i soldi in passato. Ed un banco di prova importante per proposte concrete su come ridurre la spesa, ideale soprattutto per “Fermare il declino”, nelle cui fila i professori sono abbondantemente rappresentati.

La pubblicazione degli indicatori da parte della agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario italiano (ANVUR) fornisce una rappresentazione sconcertante della performance dell’università italiana, almeno nelle scienze umanistiche e sociali. Ecco cosa dicono le famigerate mediane: negli ultimi dieci anni il 50% dei professori ordinari di Politica Economica ha pubblicato meno di mezzo articolo su riviste di rilevanza internazionale, quelli di statistica metodologica meno di 1, quelli di economia politica meno di 1 e mezzo, quelli di finanza matematica meno di due, quelli di demografia zero. Solo il settore econometria ha un passo coerente con la concorrenza straniera, con sei pubblicazioni in dieci anni.

Più che chiederci se la valutazione consentirà di migliorare le selezioni dei futuri docenti (per cui rimandiamo al blog di Andrea Mariuzzo qui su Linkiesta), è interessante farne un caso di studio della nostra pubblica amministrazione su come sono stanziati e spesi (e traditi) i fondi. Ed è un prototipo utile su cui discutere come si può fare in concreto spending review. Come sono stati spesi i fondi per la ricerca e le assunzioni in università? Probabilmente male, e senza alcun controllo successivo. Sarebbe facile fare un’analisi più accurata: con i dati ANVUR basterebbe completare tutta la distribuzione cumulata delle pubblicazioni di prestigio e studiare la relazione con quella dei fondi assegnati. I dati ci sono, sugli stessi siti sui quali sono state contate le pubblicazioni. Solo sulla base di questi dati potremmo discutere seriamente di una spending review strutturale della spesa pubblica nell’università, per ridurla o riqualificarla. E, come vedremo sotto, i risultati potrebbero essere non scontati.

Seguitemi in un mondo incredibile in cui venisse fatto questo banale studio dell’associazione tra numero di pubblicazioni di prestigio e soldi ricevuti dal ministero negli ultimi dieci anni. Cosa succederebbe se la correlazione fosse nulla o addirittura negativa? Cioè, se fosse ugualmente probabile estrarre dal database ANVUR un individuo che abbia pubblicazioni di prestigio peggiori della mediana e che abbia avuto fondi, e uno che è sopra la mediana e non abbia mai visto un euro? O se addirittura estrarre il primo fosse più probabile che estrarre il secondo? Quali conseguenze dovremmo trarre da un’evidenza simile? Beh, potremmo chiederlo ai due casi (entrambi felici) estratti. Cosa potrebbe dire chi ha avuto i soldi e non la gloria? Potrebbe dire che negli ultimi dieci anni ha avuto da fare altro (preside o direttore di qualche struttura): una storia di carriera. Potrebbe dire che lui ci ha provato per dieci anni, ma non è mai nato niente: una storia di sterilità. Oppure potrebbe dire che i suoi lavori sono di riferimento internazionale anche se non sono pubblicati su riviste internazionali: una storia di delirio di onnipotenza. In due casi su tre, quindi, il fortunato ai fondi ma sfortunato in ricerca dovrà concludere che i fondi che ha ricevuto sono stati inutili. Che dice (l’abbandono del condizionale non è casuale) invece chi non ha mai visto un soldo? Dice che in fondo anche se non ha avuto i fondi la sua ricerca ha avuto successo lo stesso (è sopra la mediana). Aggiunge anche che se non avesse perso settimane a riempire moduli A e B di FIRB e PRIN e GULP (?) in italiano e in inglese, a lamentarsi con i compagni di sventura e a protestare con il ministero forse avrebbe ottenuto risultati ancora maggiori. Dice che nel libro che contiene la sua ricerca ha scritto “this research is completely free from Government support: nemo propheta in patria”. Conclude che ora dei fondi per la ricerca non gli importa una mazza, perché tanto chi all’estero è interessato a sentirla lo invita, e viaggia già abbastanza. E alla fine concorda con l’altro: sono stati inutili i fondi che hai avuto tu e quelli che non ho avuto io.

Ecco il risultato non scontato: se questa correlazione tra successo e fondi non ci fosse (e io sono pronto a scommettere che non c’è), l’indicazione per la spending review dell’università potrebbe essere: taglio dei fondi di ricerca. Questo è il suggerimento che emerge dalla lettura delle mediane. Vengano tagliati i fondi per la ricerca ai professori. E questi fondi vengano invece in parte dirottati ai ricercatori giovani, con progetti valutati da centri di ricerca internazionale. E in parte vengano utilizzati per la stabilizzazione del personale amministrativo precario e per migliorare i servizi agli studenti, di cui abbiamo un bisogno disperato. Notate che questo non significa abolire la ricerca, ma “commissariare” la ricerca, e i commissari in questo caso sarebbero le strutture accademiche e di ricerca straniere, che hanno un processo decisionale funzionante: “nemo propheta in patria”, appunto.

Quale soggetto sarebbe oggi il più indicato a elaborare e proporre un piano serio di spending review dell’università? Beh, la compagine di “Fermare il declino” sembra ideale per un’impresa di questo tipo. Da un lato, nello scorrere l’elenco dei firmatari emerge una presenza massiccia di professori universitari, per cui sul tema il gruppo dovrebbe avere un vantaggio comparato. Dall’altro, sarebbe una risposta a chi rivolge a “Fermare il declino” la mancanza di proposte concrete. Inoltre, è il gruppo ideale per realizzare il dibattito che ho immaginato sopra. Da un lato, che ci siano ricercatori di successo nella compagine non c’è dubbio, e il portabandiera ne è Michele Boldrin: prova del suo successo è il teorema che porta il suo nome (teorema di Boldrin-Montrucchio). Dall’altro penso che non sia impossibile trovare nel gruppo degni rappresentanti del nostro mondo universitario sotto la mediana. Sarebbe interessante che i due gruppi discutessero della questione dei fondi per la ricerca come ho immaginato in questo blog, e che magari entrassero nel concreto anche su una questione un po’ più cruenta: che ne facciamo delle risorse che in università in dieci anni non hanno prodotto nulla?

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