A mente freddaOlimpiadi, allenamenti violenti per i bambini cinesi e informazione virale

Da alcuni giorni, più o meno da quando i risultati olimpici hanno cominciato a confermare i grandi progressi compiuti dal movimento sportivo cinese nell'ultimo decennio, circolano sul web, prontame...

Da alcuni giorni, più o meno da quando i risultati olimpici hanno cominciato a confermare i grandi progressi compiuti dal movimento sportivo cinese nell’ultimo decennio, circolano sul web, prontamente riprese sui social network, immagini come questa.

Sono alcune immagini di ragazzini che effettuano duri allenamenti in alcuni degli sport agonistici più impegnativi, e piangono. Io non ho mai avuto esperienza di competizioni sportive, ma mi ricordo che quand’ero piccolo anche imparare a nuotare mi era costato molte lacrime, perché l’acqua non mi piaceva. Facendo qualche volta zapping su MTV, mi ero comunque accorto che l’allenamento della ginnastica artistica è effettivamente roba difficile da digerire, e alcuni amici mi hanno confermato che queste pratiche, in sé, non sono fuori standard per queste discipline.

Detto questo, io non ho idea di cosa succedesse quando sono state colte queste immagini: si può trattare effettivamente di quasi-torture, per quanto ne so (certo, in questo caso non è facile capire come un regime che si è mostrato decisamente attento al filtraggio di queste informazioni non si sia attivato per chiudere le guarnizioni). Quello che però bisognerebbe fare è provare a mettere insieme qualche elemento di contesto che ci aiuti a non lasciarci sopraffare da un insieme di foto, che messe una dietro l’altra, possono effettivamente risvegliare sentimenti forti. Tanto per andare in ordine sparso:

  • I tecnici cinesi provengono molto spesso dall’occidente (tutti conosciamo chi è il loro c.t. per la marcia, specialità in cui solo ieri hanno raccolto successi storici), e sono stati assunti proprio per garantire al movimento sportivo cinese lo sviluppo degli approcci standard del mondo più “sviluppato” in termini di cultura sportiva.
  • Questa scelta non è senza ragione: una ventina d’anni fa, la Cina aveva provato a monopolizzare i risultati di nuoto e atletica femminili (non a caso puntando sui due sport che alle Olimpiadi “contano”, secondo un preciso progetto di valorizzazione nazionale) attraverso un uso massiccio del doping. La scoperta del fattaccio (dovuta in gran parte alla pressione delle federazioni più potenti per un incremento dei controlli a tappeto) ha decapitato una generazione di atlete cinesi, e ha tardato di un decennio l’esplosione del movimento sportivo cinese. Per questo, ora si sta cercando di costruire un solido e duraturo sviluppo di risultati dalle fondamenta.
  • I risultati cinesi nel medagliere sono davvero così straordinari da presupporre chissà quali eccezionali stili di allenamento? Se la Cina avesse, in rapporto alla popolazione, un successo comparabile a quello di un paese europeo, il medagliere per intero non basterebbe. Quindi non c’è alcun bisogno di spiegare quanto sta avvenendo con elementi diversi dall’inizio di una seria selezione e coltivazione dei talenti. Naturalmente, la rapidità dei risultati si deve anche alla possibilità di un regime autoritario di drenare nel settore sportivo risorse che in democrazia servirebbero a un più deciso miglioramento del benessere diffuso, come del resto in Italia era avvenuto per gli straordinari risultati olimpici del 1932 e del 1936, e ad atteggiamenti familiari e comunitari (come quelli che hanno portato a non far sapere per diversi mesi alla tuffatrice Wu Minxia della malattia della madre e della morte dei nonni) che in Occidente sono più rari perché soggetti a maggiore riprovazione e meno comprensibili (ma tutt’altro che assenti). Ma da qui a dire che servono le torture, ce ne corre.
  • Questa campagna contro i presunti maltrattamenti ai piccoli atleti cinesi ricorda, per i toni e i canali di circolazione, le ripetute sollevazioni contro le pratiche disgustose dei ristoranti cinesi (che i fatti hanno provato non essere più vere che per qualunque ristorante italiano; in compenso, hanno portato a un’attenzione tale dell’Ufficio d’igiene per quel tipo di servizi di ristorazione, che ora i locali cinesi del nostro paese sono tra i più sicuri, e quelli in cui il locale cucine è più frequentemente aperto alla vista degli avventori), o contro lo stile e le condizioni di vita degli immigrati (curiosamente imputati a loro e non a chi se ne approfitta, in una disinvolta commistione di problemi di natura socio-economica e semplice shock culturale tipico dell’incontro tra culture diverse, come del resto accadeva anche ai nostri emigranti del passato in termini assai simili).
  • Anche le motivazioni, in effetti, appaiono piuttosto simili: se le prime “leggende metropolitane” sui cinesi brutti, sporchi e cattivi si accompagnavano al loro ingresso vincente in una competizione produttiva da cui noi, a differenza di diversi paesi occidentali, siamo usciti con le ossa rotte e incapaci di reagire cambiando direzione, ora le voci su quanto i cinesi sono crudeli pur di far vincere a un loro atleta una medaglia nascono nel momento in cui, dopo un buon progresso negli anni Novanta e nei primi anni Duemila, l’Italia vive un processo di sostanziale espulsione da tutti gli sport “che contano”, quelli soggetti a una competizione organizzata tra tutti i paesi e da vittorie fondate senza eccezione sulla qualità degli investimenti e sulla capacità di coinvolgimento della società nella pratica: atletica e nuoto prima di tutto, ma anche ciclismo e canottaggio, dove fino a 10-15 anni fa eravamo una nazione d’avanguardia, per non parlare degli sport di squadra, dove da Atene abbiamo fatto, comunque vadano le cose ora, un vistoso passo indietro. Manteniamo alcune punte d’eccellenza assolutamente prive di un movimento alle spalle (Tania Cagnotto, per dirne una), e soprattutto una buona presenza in discipline di “artigianato sportivo”, in cui da noi, come ovunque, la pratica e lo sviluppo tecnico sono demandate a una ristretta cerchia di palestre e famiglie, come il tiro con l’arco, il tiro a volo, e soprattutto la scherma, dove tuttora riusciamo a far valere il fatto che dietro lo sviluppo moderno di tutte le armi ci siano maestri italiani capaci di creare scuole rigogliose. In tutti questi casi, però, la fragilità della nostra posizione è evidente: basta la scomparsa di un personaggio-chiave per rimettere tutto in discussione, e soprattutto è bastato che in alcune discipline i coreani o gli americani mettessero in campo un’organizzazione appena più seria per creare difficoltà. Ma piuttosto che affrontare e risolvere a fondo questi problemi, che sono legati assai più alla qualità della spesa che alla quantità (questo vale sicuramente per il nuoto, dove si è investito parecchio e sarebbe interessante capire dove siano finiti i soldi, ora), ci sembra meglio dire che gli altri non competono lealmente. Certo, una volta si poteva usare, non senza ragione, l’argomento doping, ma di fronte a gesti atletici come questo non ci si può limitare al sospetto di “pompaggio”:
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