L’abitudine è cominciata lo scorso anno. Insieme alla notte di San Lorenzo, nell’abulia di notizie del pre-ferragosto, arriva la polemica tra Vasco Rossi e Giovanni Serpelloni, responsabile del Dipartimento antidroga. Il tema è la legalizzazione delle droghe come rimedio alla tossicodipendenza. Arena della singolar tenzone, le pagine di Facebook. E il teatrino è stucchevole e superfluo, sintomo dell’incapacità italiana di affrontare l’argomento.
È sempre il rocker di Zocca a lanciare il guanto della sfida. Nella risposta al post di un fan, Vasco Rossi scrive che “la legalizzazione degli stupefacenti rientra nella ‘cosiddetta ‘politica della riduzione del danno’. Che non risolve magicamente il problema ma, come in tutti i problemi della vita, si cerca di ridurre i danni delle disgrazie che capitano!…che non si possono evitare (né prevenire!) tutte!”. Qualche giorno prima, sempre su Facebook, scriveva: “Provate a non odiare i tossicodipendenti…a perdonarli…a volergli bene….”. Una richiesta di aiuto in stile Morgan. “Le alternative immediate allo spacciatore esistono per tutti, così come alla legalizzazione, che non farebbe altro che far aumentare i consumi (e quindi i consumatori) rendendoli più facili e accessibili senza affrontare il problema”, gli risponde Serpelloni.
Una risposta prevedibile. Il Dipartimento non ha mai smesso di colpevolizzare la marijuana, ignorando qualunque studio proponesse visioni alternative al proibizionismo. È dalla legge Fini-Giovanardi che in Italia è caduta la distinzione fra droghe pesanti e leggere. “La nostra opinione è che sia dimostrata – ha dichiarato, in una nota, Giovanni Serpelloni – l’estrema pericolosità di questa sostanza, erroneamente spesso ritenuta innocua. D’altronde molti scienziati si sono chiesti e continuano a chiederselo come sia possibile voler legalizzare, e quindi far aumentare l’accessibilità e il consumo, una sostanza stupefacente che ha effetti cosi pesanti sulla regolare maturazione del cervello degli adolescenti”. Ma questa verità scientifica non è incontrovertibile. Né la marijuana può essere considerata solo uno stupefacente che crea danni al cervello. Ci sono Paesi, come l’Uruguay, dove si sta lavorando ad una legge per legalizzarla. In Spagna, nel comune di Rasquera, l’amministrazione ha messo a disposizione alcuni terreni agricoli da destinare alle piantagioni di marijuana, per creare nuovi posti di lavoro. O ancora, in Liguria e in Toscana sono state approvate delle leggi per consentire l’uso terapeutico di farmaci contenenti cannaboidi (che ovviamente non è come legalizzare la sostanza, ma apre alla possibilità di un suo uso medico). Il giro di vite sull’antidroga, dall’epoca Giovanardi ad oggi, ha gonfiato le carceri italiane, tanto che oggi, come scrive l’associazione Diritti Globali, quattro detenuti su dieci scontano il carcere per motivi legati alla droga. Un dato insostenibile per il sistema delle patrie galere, afflitte da un costante sovrannumero di detenuti.
Legalizzare, invece, potrebbe davvero rivelarsi una strada percorribile, anche se in questo momento non rappresenta la priorità dell’antidroga (vedi post precedente). Il problema è che a rappresentare questa posizione ci sono personaggi come il Blasco, che alla fine della sua risposta si firma “Komandante del Dipartimento Antiproibizionista per le Politiche Sociali Antidroga. Presidenza Consiglio dei Soliti”. Così il musicista replica a quanto scritto da Serpelloni: “È la definizione del concetto di ‘droga’ che è arbitraria e fuorviante: ‘sostanze che alterano la percezione della realtà e inducono dipendenza’. In ‘realtà’… quasi ogni emozione, ogni pensiero, ogni passione, ogni persona e ogni attività, oltre alle sostanze – almeno quando queste sono in grado di destare il nostro interesse – ci alterano la percezione del mondo, cambiandoci l’umore e il punto di vista sulle cose, dandoci piacere e facendoci venire il desiderio di continuare”. E aggiunge che “il pensiero proibizionista non solo fa gli interessi della malavita, ma costringe i ‘malati’ come li definisce lei, a rubare per comprarsi una dose a prezzi altissimi e a prostituirsi (oltre che a costringere molti lavoratori onesti, che siano politici, attori, calciatori, cantanti o ordinari impiegati, ad un rapporto forzato e continuato con la criminalità organizzata, renendoli passibili di ricatto)”. Una chiusura da vertigine, dove il tasso di populismo sfiora i livelli del grillismo.
Per fortuna, non sono questi i veri argomenti del dibattito. In un contro-rapporto sulla canapa e i suoi effetti, in risposta allo statement di Serpelloni, l’associazione Pazienti Impazienti chiede di fare chiarezza su alcuni risultati scientifici. Solo per fare un esempio, ai dati del Dipartimento secondo cui la sostanza non avrebbe effetti nella cura al cancro, ne corrispondono altri di segno opposto a firma di ricercatori dell’università di Madrid e di un prestigioso giornale specializzato come il British Journal of Cancer. Egregio dottor Serpelloni, invece che rispondere a Vasco Rossi, perché non chiarisce i punti evidenziati dall’associazione Pazienti Impazienti? Se non c’è chiarezza nemmeno nella comunità scientifica, il dibattito sarà sempre sterile e ideologico.