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■ Chi è Vittorio Zambardino? Qualche tempo fa abbiamo avuto il piacere di intervistare Vittorio Zambardino, giornalista italiano riconosciuto come l'ideatore di Repubblica.it nel 1997, la testata ...

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■ Chi è Vittorio Zambardino?

Qualche tempo fa abbiamo avuto il piacere di intervistare Vittorio Zambardino, giornalista italiano riconosciuto come l’ideatore di Repubblica.it nel 1997, la testata che ha dato inizio al giornalismo online in Italia.

In primo luogo abbiamo affrontato la questione della mancanza di moderazione e curation su Kataweb: Vittorio ha evidenziato il grande problema dei costi nascosti quando si parla di operazioni Internet nelle aziende. E’ solo parzialmente vero che il servizio sia “gratuito”, perché se diventa necessario assumere una persona che analizzi migliaia di blog, naturalmente sarà necessario anche pagarla. La stessa cosa vale anche nel caso venga scelto un sistema automatico, perché anche la tecnologia ha dei costi (basta pensare ai costi di mantenimento).

Un’altra domanda che abbiamo fatto è relativa alla capacità di aziende come Facebook, Google ed Apple di essere ancora portatrici di innovazione e apertura. Il rischio infatti è che diventino invece freni alla concorrenza e allo sviluppo della creatività planetaria. Vittorio è del parere che nessuna azienda, dopo 10 anni dalla fondazione, sia ancora creativa e innovativa. Per quanto riguarda le aziende citate, secondo lui è da tempo che hanno esaurito la loro spinta innovativa, per non parlare di Facebook, che addirittura non l’ha mai avuta. Come progetto di sovrapposizione al web che prevede la chiusura dell’utente in un immenso walled garden, Facebook non ha nulla di innovativo, né ha alcunché a che fare con la rete.

Abbiamo chiesto a Vittorio se pensa che il modello dell’Huffington Post possa funzionare in Italia, e quale sarebbe il modo migliore per gestire il rapporto con i blogger al fine di evitare i problemi verificatisi negli Stati Uniti. A suo avviso sarebbe interessante vedere che cosa si riuscirà a fare, ma che bisogna notare un dettaglio importante: quando si è cominciato a parlare del modello, tutti ne erano straordinariamente entusiasti. Quando però è emersa la sua vera natura, ovvero il fatto che si tratta di un modello che paga il lavoro delle persone in centesimi, pochissimi ne hanno parlato. In particolare, ne hanno scritto quei giornali che avevano un interesse editoriale contro il modello Huffington, e la discussione non si è sviluppata con la stessa enfasi.

Un altro tema che abbiamo affrontato insieme è quello del giornalismo iperlocale: Vittorio lo ha definito una “sexy idea”, che purtroppo si fa molta fatica a realizzare con risultati soddisfacenti. L’unico caso in cui funziona è un caso non editoriale, ma di advertising, e in particolare quello delle pubblicità geolocalizzate di Google. Uno dei motivi per cui c’è questa grande discrepanza rispetto agli Stati Uniti potrebbe essere la scala territoriale: negli USA il “locale” è un campo vero, consistente, che ancora conta all’incirca 12.000 giornali (locali), mentre in Italia e in Europa i numeri sono decisamente inferiori.

Abbiamo chiesto quale figura manchi oggi all’interno di una redazione digitale, ma secondo Vittorio mancano addirittura le redazioni digitali. A suo avviso inoltre ci sono skill e conoscenze che verranno messe insieme per creare qualcosa di nuovo: un programmatore, ad esempio, potrebbe avere il compito di rappresentare in maniera plastica il debito pubblico italiano. Ritiene inoltre molto belle le infografiche de Linkiesta, ma purtroppo sono statiche, non rispondono, non hanno un database con il quale interagire, come invece sono quelle del Guardian.

Abbiamo parlato di data journalism, di difficoltà di collaborazione con i “papaveri” dell’innovazione italiana, di come funzionano le aziende e quali sono i maggiori ostacoli allo sviluppo.

Naturalmente invito tutti a visionare l’intervista, molto ricca di spunti e riflessioni. Buona visione!

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