Non so perché, ma alla fine non riesco a maledire neanche le cose brutte che mi succedono. Forse perché poi, sto talmente male, che devo trasformarle in qualcosa di utile, se non addirittura di bello. Fatto sta che rimanere chiusa in casa con Viola per 72 ore, mi ha distrutta emotivamente e psicologicamente. Penserete che io sia esosa ed esagerata. Può darsi che abbiate ragione, ma il solo ricordo dei miei primi 6 mesi a Londra (o forse dovrei dire chiusa in casa, a Londra) mi tormenta tutt’oggi ed ho fatto di tutto per non dovermi più ritrovare in quella situazione. Certo, era stata una mia scelta: lasciare spazio al marito, che il lavoro invece ce l’aveva, occuparmi di lui, di mia figlia, della loro nuova vita, di farli ambientare. Loro. Per il bene loro. Se ricordate i miei posts da gennaio a giugno, erano spesso, direi….deliranti. Non cambia molto oggi, nel senso che i miei scritti saranno sempre folli, ma adesso (ADESSO!) è finalmente arrivato anche il mio momento. E così, in men che non si dica, ho piazzato Viola a scuola e raccattato, proprio qui, a Londra, un ufficio, e diversi lavori. La vita mi ha sorriso. Ero felice. Tutto filava liscio. Ho persino mangiato fuori con una ragazza che lavora nel desk accanto al mio. Mentre lei mi parlava, io pensavo a quanto fosse incredibile e meraviglioso essere lì, con lei, in quel fetido bar. Poi, poi… poi qualcuno, sui 20 kg, col 30 di piede, si è ammalato. Ecco. Non ci crederete ma mi è crollato il mondo addosso. Chi mi ha sentita o letta, si è preoccupato. Niente più bici-scuola-di-Viola-bici-ufficio. Niente più persone intorno a me. Di nuovo, sola. La domanda costante di queste 72 interminabili ore chiusa in casa con Viola ed i suoi bacilli, è stata: PERCHE’ IO? Sì, perché io? perché non mio marito, in questa prigione di 70 mq di acari con nostra figlia che sputa bacilli da tutte le parti? Perché anche io non posso crearmi la mia indipendenza visto e dimostrato che ne sarei capace se solo mi venisse data l’opportunità? Perché è scontato che a casa ci debba stare io e non lui? Perchè? Perché? Perché? Fumavo da tutte le parti. Stamani un amico mi ha chiamata e mi ha chiesto “scusa, ma come stai? ti ho letta ieri sera” risposta “trapelava così tanto il mio, ehm, umore?” Sì, trapelava. Bucava lo schermo. La sera il mio lui tornava dal suo lavoro, con la sua macchina, avvertendomi prima col suo cellulare, ed io uscivo, scappavo, fuggivo a far “valere” la mia libertà, da sola in qualche bettola giapponese o in qualche cinema con film horror e splatter. Avrei fatto pena persino a un cane abbandonato. E infatti, questo è stato. Mio marito ha capito. Da solo. Via non ci crede nessuno. Ok, gli ho dato un aiutino. Ma non ho sclerato. Giuro. Gli ho solo dato il la (sbattendola porta di casa e invitandolo a riflettere sulla parità dei nostri ruoli, e, quindi, diritti?). Di fronte alla legge, siamo tutti uguali. E perché non anche di fronte alle malattie di Viola? Devo portare i suoi stessi soldi a casa? Ma dammi l’opportunità che te li triplico, e che cavolo. I miei soldi vanno in baby sitter? Bene, do lavoro a qualcuno che ne ha bisogno. Io so quello che voglio e io voglio anche lavorare. Perché fai figli allora? Ti rispondo con un’altra domanda: chiedilo a tuo marito “perché fai i figli se poi lavori”. Non è uguale? Allora voglio maggiori sgravi fiscali sulle baby sitter (vedi la Francia con cifre notevoli mensili e non annuali), scuole aperte di più e più a lungo, mense accettabili e degne di uno stomaco normale e non d’acciaio. Sì, sto a Londra, ma l’Italia è pur sempre il mio paese. Ma passiamo oltre che con queste storie mi sono infilata in una bella scommessa, che è Renzi che deve portare queste cause alla luce, elaborarle e risolverle. Perché io sinceramente, mi sono proprio rotta le palle dell’epoca “tutto è scontato”. No, facciamo una politica del XXI secolo, magari anche XXII che deve ancora arrivare così forse riusciamo ad essere lungimiranti, si può? Grazie. Quindi, oggi, finalmente, dopo 72 ore di clausura, mio marito mi sente davvero disperata, prende e torna a casa alle 3. Alle 3.01 sono già fuori. Non so dove, ma fuori. Chiamo la mia amica blogger, ed insieme decidiamo di spararci qualche lectures alla social media week. Destinazione Facebook Hub. Devo dire la verità? Niente di che. Usciamo e per qualche strano malinteso, la mia amica ed io non ci capiamo: tutte e due con una voglia matta di rimanere fuori, eppure ci salutiamo ed ognuna per la sua strada. Il mio cervello mette a fuoco: casa. NO GRAZIE. E così spippolo la mia application della social media week e trovo una conferenza interessante, a 20 minuti a piedi da dove mi trovo. M’incammino, m’incammino, ma il posto io proprio non lo vedo. Eppure ventisettimila freccettine sul mio telefono mi stanno dicendo sei-proprio-deficiente-tu-sei-qui-l’evento-è-lì. Ma allora perché non lo trovo? Perché sei di strette vedute Allegrina. Liberati da questi clichés. Le conferenze mica sono per forza in un palazzo, building o studio. Già. Come non pensarci prima? Mi volto, guardo il Tamigi, e m’infilo in una nave. Che ospita la conferenza. Tutti a bere a prua. Hey ragazzi giovani belli e londinesi, è qui la conferenza? perché mi sembrate tutti piuttosto alticci con un calice di vino bianco in mano. Ma che te frega Allegra, e lasciate anna’, prendi sta’ biretta e aggregate. Sì, ok. E poi, vedi che faccio bene ad uscire, anche da sola, e ad avventurarmi? La mia amica inglese, di quando avevo 16 anni, che non vedo da 10, lei è lì, ed è sempre uguale, appena tornata da Perù. Ed io me la ritrovo qui, su questa barca, a Londra che ha solo 18 milioni di abitanti. E la conferenza è splendida, interessante, anche se la nave dondola e i miei cellulari sono scarichi. E non ho abbastanza spiccioli per una birra e un tizio me la offre. E poi con la mia amica a raccontarci di una vita intera in un ristorante indiano al secondo piano di un edificio fermo al 1940, no, non per la sua architettura, ma per il suo lerciume. E allora torno a casa, da mio marito che intanto sembra lavori a Wall Street con tutti quegli schermi che s’è portato dall’ufficio. E domani? Altro giro, altra conferenza.
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