Giustizia o intimidazione? A voi la risposta sul nuovo caso di conflitto fra politica (e legge) e comunicazione verificatosi in Brasile e che ha visto in manette il direttore generale di Google Brasil Fabio José Silva Coelho, visto che il tema diffamazione è molto attuale anche in Italia.
Google ha ignorato l’ordine giudiziario di oscurare un video in cui venivano citate informazioni false ed ingiuriose su Alcides Bernal, uno dei candidati alle elezioni municipali in Brasile del prossimo 7 ottobre, cosa che è costata l’accusa diretta al direttore di Google, responsabile di tale controllo per la legge brasiliana. Una sentenza lo ha condannato per violazione della legge elettorale ed ha addirittura ha stabilito la sospensione per 24 ore dei servizi di Google e YouTube nello stato del Mato Grosso do Sul, un vero e proprio boomerang commerciale per un paese dove i due siti sono ai primi posti in classifica.
In realtà la vicenda è ben diversa ed anzi ancora più complessa, sebbene sia difficile fermare un video dopo averlo pubblicato su YouTube e di conseguenza rilanciato su facebook, twitter o inviato a mezzo mail o con i vari sistemi di condivisione fra utenti, sono in tanti a chiedersi quale sarà il futuro in Brasile di molte altre piattaforme tecnologiche non così potenti e ricche come Google (il cui direttore brasiliano è stato scarcerato ed il cui video contestato è ancora in circolazione) in un paese dove ogni filmato di critica su un candidato può essere considerato offensivo e dove alla fine la colpa e la censura rischiano di ricadere su ogni singolo utente.
Tutti gli organi di informazione che operano sul web hanno parlato di una legge obsoleta che finisce con il proteggere troppo i politici, anche quelli più discutibili e con il chiudere la bocca agli organi di informazione, sebbene il video su Alcides Bernal non fosse proprio leggero, accusando Bernal di violenza domestica, ubriachezza e gettando totale discredito sull’immagine del candidato. E non è la prima volta che un funzionario di Google nel paese viene accusato di disobbedienza ad un ordine giudiziario e la medesima cosa accade per Facebook.
Ed ora cosa farà il governo di Dilma Rousseff (che pure rispetto a Lula non ha mai avuto un grande rapporto con i media e con internet) che di certo non può contrastare le decisioni dell’autorità giudiziaria senza essere accusata di mettere il becco contro i giudici che stanno indagando proprio sul grande scandalo nel partito del presidente ma neppure potrà sopportare che il Brasile diventi un gigante in stile cinese che filtra e controlla i contenuti sul web per non disturbare il mondo politico.
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