Il card. Bagnasco ha chiesto pulizia, rinnovamento della politica. Ha detto che gli scandali politici e gli sprechi «sono una cosa vergognosa». Durante la prolusione all’ultimo Consiglio permanente della Cei, ha parlato di «reticolo di corruttele e di scandali delle regioni, motivo di disagio e di rabbia per gli onesti». «È l’ora – ha aggiunto – di una lotta penetrante e inesorabile alla corruzione soprattutto nelle regioni sta emergendo una rete di corruttele e scandali».
Bene, bravo, bis. Se non fosse che quella stessa giunta regionale che oggi prende a cannonate, sia la stessa che la Chiesa a smaccatamente sostenuto alle Regionali di appena due anni fa, contro lo spauracchio della Bonino. E se non fosse che quelle dichiarazioni sono arrivate proprio nel momento in cui l’Udc di Casini sembrava propensa a mantenere il sostegno alla Polverini. E che siano state quindi state decisive nel determinare il cambio di rotta di Casini e le conseguenti dimissioni dalla presidente della Regione Lazio.
Fino ad allora, siamo al 22 settembre, sembrava infatti che la Polverini ce la facesse a gestire la crisi di discredito che aveva colpito lei e la sua maggioranza. Pd, Sel, Idv e Verdi Federazione della Sinistra e Lista Civica dei Cittadini avevano raccolto le firme in calce alle dimissioni dei propri consiglieri, con l’intento di far decadere l’intero consiglio regionale e di arrivare ad elezioni anticipate. Per farlo, servivano 36 firme, cioè la metà più uno dei 71 consiglieri (70 più la Polverini) in Regione. L’opposizione ne contava però solo 27. Con un paio di fuoriusciti dalla maggioranza si sarebbe arrivati a 29. Ma senza l’Udc l’operazione era destinata a fallire. Il partito di Casini nicchiava, ma sembrava propenso a mantenere il sostegno alla giunta. Anche perché i suoi uomini in Regione, il capogruppo in Consiglio Regionale Carducci, il potente vicepresidente della Regione (nonché assessore all’urbanistica) Ciocchetti e l’assessore alle politiche sociali ed alla famiglia Forte facevano quadrato attorno alla Polverini. Che con il plebiscito ottenuto alla sua proposta di spending review regionale, la sua presa di distanza dai gruppi dirigenti della maggioranza che la sosteneva, la sua indignazione esibita sempre a favore di telecamera, sembrava poter reggere l’urto.
Poi sono arrivate le prime parole di Bagnasco, pronunciate a Genova. Il giorno dopo, a Sky Tg24, Casini tentava ancora di mediare, derubricando i giudizi critici di Buttiglione sulla Polverini pubblicati in un’intervista uscita su Repubblica (22/9) («La Polverini farebbe bene a lasciare, non può far finta di nulla. Avrebbe fatto meglio a dimettersi per la dignità sua e di tutta la politica»), come una «posizione personale», ed invocando rispetto per l’autonomia del partito a livello locale. Ma il card. Bagnasco rincarava la dose ed il 24 settembre, nel corso della sua prolusione al Consiglio permanente della Cei, parlava di «reticolo di corruttele e di scandali delle regioni, motivo di disagio e di rabbia per gli onesti». «È l’ora – aggiungeva – di una lotta penetrante e inesorabile alla corruzione soprattutto nelle regioni sta emergendo una rete di corruttele e scandali». A quel punto Casini era costretto a rompere ogni indugio, e davanti alle telecamere del Tg3 dichiarava che era venuto il momento di restituire la parola agli elettori, proponendo un election day che accorpasse politiche a Regionali, nel 2013. Da qui, il passo obbligato (ma esibito come frutto di una sua libera iniziativa) della Polverini: le dimissioni.