C’è sostanza nel nuovo fondo salvastati o si tratta di un’operazione di facciata? Nel suo intervento del sabato su Repubblica Alessandro Penati raffredda gli entusiasmi sul futuro dell’istituzione che dovrà nascere, riducendone il significato a quello di un segnale. Finalmente un tema che mi trova in disaccordo netto con lui.
Sono un estimatore dei pezzi di Alessandro Penati sulla Repubblica, tanto che ritengo che andrebbero raccolti e pubblicati a beneficio dei dibattiti che teniamo in aula con i nostri studenti, per verificare se veramente capiscono le problematiche della finanza. Si tratta infatti dell’unica rubrica in cui si parla di finanza senza stonature che è possibile trovare sulla carta scampata. Molto spesso mi trovo anche d’accordo sulle posizioni. E’ quindi un’occasione da non perdere quella che di questa settimana, che mi trova in direzione ostinata e contraria rispetto alle sue posizioni.
La questione sollevata è in controtendenza con l’ottimismo generale sprigionato dalla sentenza dell’Alta Corte di Karlsruhe: sarà vera gloria quella del nuovo fondo ESM (European Stability Mechanism)? O non sarà piuttosto “un segnale della volontà di salvare l’Euro, da brandire come un successo nei paesi in crisi, ma garantendo l’opinione pubblica tedesca che l’impegno della Germania sarà comunque limitato”? Penati porta argomentazioni a favore di questa tesi, e lo fa con eleganza e chiarezza come al solito. Ma la domanda che resta è se non ci possano essere argomenti contrari altrettanto chiari ed eleganti, ed il fatto che una persona assertiva (almeno da come lo ricordo dai convegni) come Penati anteponga un “forse” alla sua conclusione fa ritenere che questi argomenti esistano, e fa venire voglia di trovarli.
Riassumiamo per cominciare le considerazioni contro l’ESM. Penati nota, ed è vero, che si tratta di una cartolarizzazione. Ma questo non è il punto, qualunque impresa che abbia qualcosa all’attivo e emetta titoli di debito è una cartolarizzazione: potremmo dire che è un’azienda e ne daremmo una rappresentazione più neutra e di miglior reputazione. Il punto di sostanza, ed è anche questo vero, è che questa azienda ha all’attivo spazzatura di alcuni dei suoi azionisti. Gli azionisti di questa azienda versano 80 miliardi di garanzie reali e estendono queste garanzie fino a 700 miliardi. A cosa servono queste garanzie? A salvare dal fallimento qualcuno degli azionisti (o le loro banche). Le garanzie sono pro-quota, e questo porta all’argomento finale. Le quote di Spagna e Italia assommano al 30%, contro il 27% della Germania. Se falliscono Spagna e Italia chi reintegra il 30%? Non la Germania, la Corte di Karlsruhe l’ha escluso a meno di un pronunciamento del Parlamento. Quindi, sapendo questo, come potrà il nuovo fondo emettere titoli di buona qualità, cioè con un basso rischio di credito?
L’argomento è corretto, anche se lascia aperta la domanda su quale sia la probabilità di un default simultaneo di Spagna e Italia, cosa che sarebbe possibile misurare sulla base dei dati di mercato. E’ una buona idea per un approfondimento, che mi riserverò di fare quando gli impegni di didattica e di ricerca mi lasceranno un po’ di fiato. La domanda, a questa ora della notte, è se esistano argomenti altrettanto sensati e misurabili a favore di un ruolo sostanziale del fondo salvastati. Io ne vedo almeno tre.
Il primo argomento è che se il fondo salvastati ha le caratteristiche negative delle iniziative di mutualizzazione del debito, e cioè quelle che fanno paura ai tedeschi (come del resto sostiene Penati) deve averne anche delle buone. E queste sono la garanzia incrociata e la diversificazione dei rischi, cioè la caratteristica di attenuare i problemi aggregando i paesi. Si potrebbe pensare a un caso estremo di un fondo salvastati fatto solo da Spagna e Italia (per il salvataggio solo di Spagna e Italia, ovviamente). La gente riderebbe, ovviamente, ma forse dopo aver fatto qualche conto qualcuno sottoscriverebbe quei titoli. Perché? Perché uno potrebbe considerare che se l’Italia ha un debito elevato, la Spagna l’ha avuto storicamente più basso; che se la Spagna ha un deficit primario, l’Italia ha una surplus primario da campioni; che se la Spagna ha un sistema bancario in crisi, quello italiano è senz’altro più solido. E così via. Ci saranno senz’altro debolezze, vizi e rischi comuni, ma basta che ce ne siano alcuni che si compensano e avere un fondo Italia-Spagna sarebbe meglio che lasciare Italia e Spagna alle prese con le proprie grane. Se poi il fondo salvastati è fatto di 17 paesi, questo effetto diventa decisivo, e mi fa pensare che esso rappresenti una soluzione vera, piuttosto che di facciata.
Il secondo punto è che il fondo salvastati può intervenire direttamente in soccorso dei sistemi bancari dei paesi. In questo modo, toglie una passività importante, che abbiamo recentemente misurato in un lavoro con Angelo Baglioni, che ricadeva solo sugli stati nazionali, e che ha rappresentato una passività “ombra” decisiva nello svolgimento della crisi. Si sarebbe verificata la crisi irlandese se l’ESM fosse stato già operativo? Forse no, e la crisi non si sarebbe trasmessa dal sistema bancario alla finanza pubblica.
Infine, non dobbiamo dimenticare che il salvataggio scatenerebbe l’intervento della cavalleria della BCE, che ha alcuni aspetti tecnici di cui si può discutere, ma che senz’altro introduce un effetto leva ancora maggiore. Ed è forse per il timore di questa cavalleria che nessun indiano oserà attaccare Little Big Horn, anche se la politica europea abbonda di Generali Custer.