THE BLAIR MUM PROJECT: blog di una mamma (e figlia) a LondraMamma e figlia: diario di una vacanza finita.

Fino a ieri la sola idea di rientrare a casa, a Londra, mi entusiasmava. Persino questo paradiso terrestre dove ci troviamo Viola ed io da 10 giorni, non riusciva a trattenere la gioia di riprender...

Fino a ieri la sola idea di rientrare a casa, a Londra, mi entusiasmava. Persino questo paradiso terrestre dove ci troviamo Viola ed io da 10 giorni, non riusciva a trattenere la gioia di riprendere le vecchie abitudini, di riabbracciare l’amato babbo e marito e di sentire finalmente un po’ di aria fresca e, perché no, qualche goccia d’acqua. E’ la voglia di cambiare, di tornare in quella città dalle mille sfumature grigie, poco erotiche, molto smoggy. A Londra si respirano libertà, indipendenza, diversità. Un trinomio che attira migliaia di persone da tutto il mondo ogni giorno. Quando ci siamo trasferiti, nove mesi fa, mio marito, Viola ed io, Londra per me significava casa. Poche città come lei, mi facevano sentire at home. Neppure Lecce, Milano, Genova o Parigi mi hanno mai dato questa sensazione. L’idea di rientrare e poter pianificare i miei lavori contando su tutti i diversi contatti che si creano ogni giorno, o di poter andare a vedere mostre da recensire, magari in atobus attraversando le mille differenze della metropoli ed impiegandoci almeno un’ora, mi piace, mi è sempre piaciuto. Ma forse ciò che più mi piace, è l’idea di vivere all’estero, di poter parlare un’altra lingua, di conoscere nuove culture, di dare questa opportunità alla mia famiglia. Una vera esperienza di vita. Necessaria per quanto mi riguarda. Viola, da quando abitiamo in Inghilterra, è cresciuta tantissimo, fisicamente ma soprattutto mentalmente e parla della sua scuola inglese, che a breve rinizierà, con entusiasmo. Io sono eccitata alla sola idea di dover fare un nuovo percorso per accompagnarcela. Cambiare per me vuol dire esplorare, conoscere, apprezzare, capire, crescere. Un’opportunità in tutti i sensi. E fare questo cambiamento insieme alla mia famiglia, mette tutti alla prova. Mi piace vedere come reagiscono Viola e mio marito, alla loro nuova quotidianeità. Come cambiano i rapporti fra di noi, come siamo cambiati tutti, come rusciamo ad essere uniti. Siamo soli, lassù, e questo ci rende liberi da qualsiasi impegno. Certo ci dà anche molte più preoccupazioni, meno aiuti, ma questo ci induce, ci stimola a voler fare meglio ed ottenere di più da noi stessi. Quindi tornare a Londra era per me, sino a ieri, un pensiero piacevole, eccitante, stimolante.

Oggi qualcosa è cambiato. Oggi mi trovo in un limbo, in una dimensione temporale e spaziale che non esiste da nessuna parte se non dentro di me. Non sono in nessun luogo. Utopia. Una strana sensazione simile all’ansia, pervade il mio essere. E’ la testa che rincorre i ricordi del passato, per buttarsi nel futuro, tralasciando il presente. Cerca in tutti i modi di annullare queste ultime 12 ore prima della nostra partenza come se non mi fosse più concesso di vivere, perché domani parto. S’interrompe bruscamente qui, il mio tempo, nell’attesa che arrivi il giorno del trasferimento. Un cambiamento che si dilata per ore, l’oggi che abbraccia il domani, lo rincorre rifiutando il momento stesso in cui sto scrivendo. Non riesco a vivere questi minuti, inizio a fare una cosa che già ne sto facendo un’altra, un’attesa interminabile e logorante che terminerà nel momento stesso in cui saliremo sull’aereo. Allora sarà domani, allora i miei pensieri troveranno la pace che stavano cercando e saranno finalmente opportuni, non più futuri, ma nel presente. Ma come mai mi ritrovo qua, in questo maledetto limbo? Forse fino a ieri il pensiero di tornare a Londra era solo un’idea remota e lontana? Forse oggi la mia mente e le mie paure capiscono che la partenza è imminente? Forse non voglio partire e mi trovo qui quando so che domani sarò già là? Cos’è questa confusione, questo momento di passaggio che dura un’eternità?

Piano piano sono partiti quasi tutti. Viola inizia a percepire, sebbene lo sapesse già da tempo, che tra poco ognuno di noi rientrerà nel proprio paese per riprendere la propria vita: lo zio, cioé mio fratello, a Barcellona, i nonni, cioé mio padre e sua moglie, a Milano, lei ed io a Londra. Sicuramente qualcosa in lei si starà muovendo, e per evitarle l’ansia che sta provando adesso sua mamma, ho cercato di avvertirla e spiegarle a quali tipi di cambiamento stiamo andando incontro. Il clou del pensiero è rappresentato dal rivedere suo padre e questo scaccerà qualsiasi sua possibile malinconia. Qualcosa a cui aggrapparsi. Ma perché bisogna sempre avere un pensiero di riserva per consolarci? E qual’è il mio? Chi è che mi dice che quest’anno andrà tutto bene, che lavorerò più dell’anno scorso, che non sarò sola con Viola 24/7, ne che aspetterò mio marito dalle 7 del mattino alle 11 di sera? Che la mia mente saprà distrarsi con tutta la meraviglia culturale che Londra sa offrire? Che riuscirò a fare yoga tutti i giorni e che si, starò bene e che non mi mancherà niente e nessuno? Me lo devo dire da sola, e me lo ripeto da così tanto tempo che forse adesso la mia mente si sta chiedendo se è vero. E lo scopriremo solo vivendo.

“Viaggiamo perché è una necessità, perché la distanza e la differenza sono la formula magica della creatività. Quando torniamo a casa, la casa è sempre uguale. Ma qualcosa nella nostra mente è cambiato. E questo cambia tutto” (J. Leher). Forse per questo viaggio, cambio paese e città e detesto fermarmi ed avere una casa. Detesto la routine.

L’ombra di un ballo in spiaggia

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