Gorky ParkSafarov e la credibilità dell’Europa

La storia l'ha riassunta bene Giorgio Comai sul sito balcanicaucaso.org:   "Nel 2004 Ramil Safarov, un ufficiale azero, era a Budapest per partecipare a un corso di inglese organizzato dalla Nato. ...

La storia l’ha riassunta bene Giorgio Comai sul sito balcanicaucaso.org:

“Nel 2004 Ramil Safarov, un ufficiale azero, era a Budapest per partecipare a un corso di inglese organizzato dalla Nato. Ha ucciso con 16 colpi d’ascia Gurgen Margaryan, un altro partecipante, mentre quest’ultimo dormiva nella sua stanza. Safarov era lucido, l’omicidio volontario e premeditato, l’omicida impenitente. Il movente? Margaryan è armeno. La giustizia ungherese l’ha condannato all’ergastolo, esplicitamente escludendo per l’efferatezza del crimine provvedimenti che riducessero la pena a meno di 30 anni.

Il 31 agosto 2012, facendo riferimento ad una convenzione del Consiglio d’Europa che offre la possibilità di far scontare a condannati la pena nel proprio stato di origine, l’Ungheria ha concesso l’estradizione in Azerbaijan di Safarov. Al suo arrivo a Baku, Safarov ha immediatamente ottenuto la grazia dal presidente Aliyev, ha ricevuto otto anni di stipendi arretrati per il periodo in cui è stato in carcere, è stato promosso al rango di maggiore, e il ministero della Difesa gli ha fornito un appartamento. Un “benvenuto da eroe”, come sottolinea la BBC, mentre televisioni mostrano immagini di Safarov che porta fiori a vittime della guerra in Karabakh e viene accolto con applausi e fiori.

Le autorità di Budapest assicurano di aver avuto garanzie da Baku riguardo al fatto che Safarov avrebbe scontato la sua pena in Azerbaijan. Ma un’attenta analisi della corrispondenza mostra chiaramente come da parte azera non vi fosse alcuna garanzia e collega l’avvenuto piuttosto ai negoziati in corso per l’acquisto da parte azera di 2-3 miliardi di euro di debito sovrano ungherese (più di metà dei 4 miliardi che l’Ungheria deve piazzare nel 2012).

Critiche dure, sia all’Azerbaijan che all’Ungheria, sono arrivate ufficialmente sia dalla Casa Bianca che dal Cremlino. L’Armenia ha immediatamente rotto le relazioni diplomatiche con l’Ungheria.

Secondo un articolo pubblicato da VestnikKavkaza, l’accaduto dimostrerebbe però la forza di Baku a livello internazionale: la leadership azera è conscia del fatto che tutto si chiuderà con critiche di facciata, ma nessun cambiamento sostanziale per quanto riguarda accordi economici e geostrategici. L’Azerbaijan infatti non solo è considerata una fonte importante di gas e petrolio, ma, nel contesto attuale, anche un alleato prezioso ai confini con l’Iran.

La glorificazione pubblica di un assassino che ha ucciso un uomo esclusivamente per la sua appartenenza etnica mostra come sia la retorica della guerra, non certo quella della riconciliazione, a dominare le relazioni tra Azerbaijan e Armenia a ormai vent’anni dalla guerra in Nagorno Karabakh”.

A Bruxelles la Baronessa Ashton ha rilasciato un comunicato insieme al commissario per l’allargamento Füle in cui i due si dicono preoccupati e fanno appello a Baku e Erevan per evitare un’escalation. Nessuna parola naturalmente su Budapest e gli accordi sottobanco, segreto di pulcinella, e sui 20 milioni di euro appena dati all’Azerbaigian per le riforme del sistema giudiziario. Il solito danaro gettato al vento.

E allora ci si chiede: ma invece stracciarsi le vesti per Pussy Riot e Yulia Tymoshenko, in Europa non dovrebbero smetterla di raccontare la favola sui diritti umani a corrente alternata? Brutti, sporchi e cattivi da una parte, dall’altra i compagni che sbagliano?

Il caso Safarov dimostra quanto poco credibile sia l’Europa. Se mai ce ne fosse stato ancora bisogno.

Perché Aliyev – presidente di seconda generazione dopo che suo padre Heidar aveva guidato il Paese dopo il crollo dell’Urss – viene trattato coi guanti di velluto, é presto detto: petrolio e gas, barattati a spese della democrazia.

Le prediche che arrivano da Bruxelles, dirette a Mosca, Kiev e Minsk, fanno sorridere. Così come l’indignazione strumentale doppiopesista di chi indossa, volontariamente o meno, il paraocchi.

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