“Cambiamo, ma per aprire a te” – è con queste parole che Pierluigi Bersani rivolgendosi a Matteo Renzi ha messo in evidenza un concetto che dovrebbe essere chiaro a chiunque abbia intenzione di partecipare al voto per le Primarie o anche solo che ne voglia parlare al bar: il sindaco di Firenze da Statuto del Partito Democratico non avrebbe potuto candidarsi alla competizione interna al centrosinistra.
Come è giusto che sia lo statuto del PD prevede che alle Primarie di coalizione partecipi come candidato il segretario nazionale, ma oggi i democratici si sono riuniti in assemblea a Roma per modificare questo automatismo e allargare la competizione anche ad altri esponenti del partito.
Enrico Deaglio ieri ha tracciato i profili molto attenti di Renzi e Bersani: il primo viene allattato al seno della DC, il secondo cresce politicamente nel PCI. Una differenza sostanziale che è alla base del conflitto interno al PD: da una parte gli ex Margherita cercano di trovare uno spazio all’interno di un partito guidato da un segretario ex DS. Il conflitto è più politico di quanto si possa immaginare, non a caso nel suo intervento di oggi all’assemblea Giuseppe Fioroni ha ribadito la necessità di allargare la coalizione anche ai moderati di Casini. La discussione è politica: il PD dovrà avere una linea moderata o progressista? In questo contesto si inserisce la candidatura di Matteo Renzi, una candidatura di garanzia per un’area politica moderata. Lecito dunque l’ingresso in campo di Renzi? Assolutamente no.
Un grosso partito dovrebbe conoscere l’importanza delle regole: all’assemblea del PD spesso è stata ripetuta questa parola. Bene se ci sono delle regole quelle debbono essere rispettate, si tratta di un concetto che dovrebbe essere alla base di una società civile. La candidatura di Renzi nasce dalla frantumazione di una regola interna al PD: un grande partito non cambia in corsa le proprie regole se non con la convocazione di un congresso straordinario. Renzi dunque non dovrebbe potersi candidare alle Primarie. Ma allora perché Bersani ha accettato la sfida del sindaco di Firenze? Per paura dell’opinione pubblica e per la stessa paura oggi la politica si sta autoriformando a spizzichi bocconi, spanne e tentoni.