Leggere è rockIl 55% di italiani non legge nemmeno un libro l’anno

Partecipare al Salone del libro di Torino aiuta a capire l'entità e l'importanza dell'editoria italiana che, nonostante la crisi, le difficoltà degli ultimi anni e il basso numero di lettori forti ...

Partecipare al Salone del libro di Torino aiuta a capire l’entità e l’importanza dell’editoria italiana che, nonostante la crisi, le difficoltà degli ultimi anni e il basso numero di lettori forti nel nostro paese, resta tra i primi dieci mercati editoriali al mondo per importanza e fatturato.
Dimentichiamo i cinque padiglioni, i monumentali stand dei big dell’editoria nostrana e immedesimiamoci nel contesto della più grande fiera del libro al mondo a cui partecipano 7200 editori da tutti i paesi, con gli americani a fare la parte del leone.
Per capire l’importanza dell’editoria in lingua inglese basta riportare le statistiche che emergono dalla classifica pubblicata su “Publishers weekly”, “the world’s largest publishers”, ovvero i più grandi editori al mondo.
Guida la classifica l’inglese Pearson con un fatturato annuo di otto miliardi e mezzo di dollari, fino alla posizione tredicesima, dove compare il primo editore italiano, De Agostini, è un predomio di editori americani e inglesi.
Per intenderci, il gruppo Rizzoli è al trentesimo posto e Mondadori al trentatreesimo.
La fiera del libro di Francoforte differisce dalle altre fiere del libro poiché è soprattutto rivolta a un pubblico di addetti ai lavori ed editori che vi partecipano per vendere o acquistare i diritti dei libri.
Rizzoli, per esempio, quest’anno deteneva i diritti mondiali del libro di Benedetto XVI.
Oltre che per dimensioni, la Buchmesse colpisce per il giro di affari in termini economici e per la quantità di libri esposti.
Per tutta la durata della fiera, oltre ai migliaia di articoli e approfondimenti su riviste e quotidiani, escono tre riviste dedicate esclusivamente agli eventi in programma, tra questi il già citato inserto di “Publishers weekly”.
Quest’ultima è una rivista statunitense che esce con cadenza settimanale dal 1950, con quaranta pagine di approfondimento sulle novità dei libri e sul mondo dell’editoria.
In Italia fatichiamo a pubblicare un mensile di questo genere, figurarsi un settimanale.
La tendenza che emerge anche all’interno della Buchmesse è l’evoluzione dell’editoria verso il digitale. Quello che gli editori internazionali stanno cercando di fare, è passare all’ebook nel modo più indolore e performante possibile. Oltre al libro digitale si stanno sempre più diffondendo nuove forme di editoria (per esempio il libro app) e stiamo vivendo una vera e propria primavera digitale e un momento storico che influenzerà in modo definitivo il futuro dell’editoria cambiando la concezione della lettura.
Tornando a occuparci del nostro paese, all’interno della fiera è stato presentato dall’Aie (Associazione italiana editori) il rapporto 2012 sullo stato dell’editoria in Italia con i dati relativi al 2011.
Il mercato editoriale italiano ha subito una forte contrazione, a fronte del -3,7% del mercato in generale, i piccoli editori hanno avuto una contrazione del 4,8%. Sconfortante la percentuale di lettori di almeno un libro nel corso del 2011: solo il 45,3% di italiani.
Ancor più inquietante che il 19% dei laureati non abbia letto nemmeno un libro nell’ultimo anno.
Qual è la situazione degli altri paesi? In Francia la percentuale sale al 70% mentre gli spagnoli “si accontentano” del 61,4%.
Le uniche note positive vengono dal mercato digitale che è in forte crescita (e vale il 4,8% del mercato complessivo).
Le novità in ebook fanno registrare un +93,6% ma gli acquirenti di libri digitali restano l’1,1%,
Un ultimo dato che può essere letto in diversi modi, la percentuale di libri stranieri pubblicati in Italia è passata dal 24,1% del ’97 al 19,7% del 2011, meno risorse da investire nei diritti di libri stranieri, oppure un incremento del valore dei libri pubblicati in Italia?
Partecipando come addetto ai lavori alla Buchmesse, ma senza uno stand all’interno dell’evento, ho potuto dedicare tempo alla visita dei vari padiglioni. Ciò che emerge è un dislivello in termini sia di fatturato che di dimensioni e qualità del prodotto libro tra gli editori americani, inglesi , canadesi, australiani e neozelandesi (quest’ultimi ospiti d’onore della fiera) e gli editori degli altri paesi.
A onor del vero l’editoria europea (tedeschi e francesi su tutti) e quella giapponese, reggono bene il confronto, mentre è ancora evidente il gap con i libri pubblicati da editori provenienti da economie più deboli.
La strada vincente da intraprendere in futuro, è il giusto connubio tra carta stampata e digitale, attribuendo a ognuno di questi canali la giusta funzione e valore.

Francesco Giubilei
@francescogiub

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