A Taranto di balle sull’Ilva ne hanno sentite parecchie. L’ultima però è più grossa di tutte. E’ arrivata direttamente dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini venerdì scorso a Roma nella conferenza stampa di presentazione della nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per il siderurgico più grande d’Europa. «La riduzione della produzione dello stabilimento a 8 milioni di tonnellate invece dei 15 milioni attualmente autorizzati con l’Aia del 2011».
Il nuovo provvedimento, che il 18 ottobre prossimo dovrà incassare l’ok della Conferenza di servizi, non cambierà di una virgola i piani dell’Ilva per un semplice motivo: 15 milioni di tonnellate d’acciaio quello stabilimento non li ha mai sfornati e, stando solo al trend degli ultimi undici anni, il picco massimo della produzione l’ha raggiunto nel 2006 con poco più di 9,6 milioni di tonnellate. Da allora, la congiuntura internazionale, l’oscillazione dei prezzi a favore dei concorrenti stranieri e la domanda debole del mercato italiano hanno di fatto allineato al ribasso i piani produttivi dell’azienda che negli anni ha continuato in ogni caso ad avere in mano circa il 40% dell’acciaio italiano.
La prima domanda è questa: se anche nei migliori sogni dei Riva non c’è stata mai traccia di quella mole di acciaio, è possibile che il “tecnico” Clini abbia voluto giocare su quanto si produce a Taranto e su cosa sono in grado di fare quegli altoforni? Dal 2001 al 2011 la media è stata intorno ai 7,7 milioni di tonnellate prodotte, nel decennio precedente il picco è arrivato nel 1994 con 8,5 milioni, ma i Riva sono arrivati solo a maggio dell’anno dopo.
Il titolare dell’Ambiente, che continua a ripetere che ordinerà una riduzione «di quasi il 50%» dei volumi annui, si riferiva di certo alla capacità produttiva dell’impianto. Ma anche qui le cifre raccontano una storia diversa da quella che, secondo i piani del Ministero, riempirà le pagine della nuova Aia. Il potenziale dello stabilimento, stando ai dati Ilva, non supera 11,5 milioni di tonnellate annue grazie all’ampliamento del 1975.
Dal quartiere Tamburi non riescono ancora a capire cosa cambierà guardando quell’impianto acceso notte e giorno se persino l’ultima produzione non è andata oltre quota 8,5 milioni. Il secondo interrogativo sarebbe quindi un altro: non è che per Natale, al netto della retorica istituzionale su inquinamento e tumori (i due pilastri dell’inchiesta della procura su disastro ambientale), nei lapsus di Clini ci sarà spazio pure per un maxi ampliamento dell’Ilva?