L’adattamento è la qualità fondamentale per qualsiasi sistema che intenda sopravvivere nel tempo, biologico, tecnologico o relazionale che sia. Più ti adatti, più a lungo sopravvivi. Ma la cosa interessante è che un sistema è tanto più forte quanto più nell’adattarsi mantiene i tratti fondamentali che ne contraddistinguono l’identità di base. Pensiamo al corpo umano: cambiamo quotidianamente le nostre cellule, sia interne che esterne, ma questo non comporta essere ogni giorno una persona diversa.
L’identità della maggior parte dell’Italia è caratterizzata da una buona miscela tra creatività, socialità strutturata in piccole comunità (i grandi gruppi tutto sommato li sopportiamo mal volentieri), genio individuale, curiosità e una diffusa predisposizione all’accoglienza. Non è forse un caso che una delle pochissime capitali del “sud del mondo” che non ha cambiato nome a seguito della decolonizzazione sia Brazzaville, in Repubblica del Congo, che prende il nome da Pietro Savorgnan di Brazzà, un italiano che aveva un approccio al dialogo con i territori molto diverso dai colleghi inglesi e francesi. In fondo, siamo sempre stati più ambiziosi che aggressivi.
La storia imprenditoriale del nostro Paese e il nostro sistema di welfare sono basati su queste caratteristiche. Ed è ciò che, incredibilmente ci ha fatto restare nel club degli 8 Paesi più ricchi (già, è così!) per decenni, nonostante più piccoli meno estesi e meno popolosi di molti altri. Poi forse ci siamo seduti. O per lo meno abbiamo iniziato a vederci e raccontarci così.
Viene così da chiedersi: e se stessimo sbagliando completamente il punto di vista? Se spaventati dai cinesi, interdetti dai social media, rintontiti dai mantra televisivi dell’ “Italia stretta nella morsa del gelo”, dell’ “esodo e contro-esodo d’agosto”, ci fossimo per anni distratti da ciò che sappiamo davvero fare e, alla faccia della crisi, continuiamo a saper fare anche molto bene?
Dopo una stagione lunga trent’anni in cui le parole d’ordine sono state ricchezza e crescita ora rimbalzano ovunque innovazione e sociale. Dal Vietnam al Brasile, da Bruxelles a Mumbai centinaia di eventi, conferenze ed incontri su Social Innovation e Social Business hanno caratterizzato questo 2012. Sono nostre parole più di quanto non pensiamo: prendiamocele in carico a partire ognuno dalla posizione che ricopre. Non siamo il Paese delle grandi corporation, non siamo una potenza coloniale, non siamo chi stampa la moneta di riserva per le banche di mezzo mondo. Dimentichiamoci per un momento di cosa fanno i francesi, i tedeschi o gli americani e concentriamoci nel prossimo autunno solo su noi stessi.
Non c’è nessun buon motivo per restarsene ancora seduti, le sorprese positive non mancheranno.