Forse dovrei smettere di scrivere questo blog perché adesso, oltre a tutta la mia famiglia, il marito (e altre 3.000 persone) mi legge anche il mio capo. Questo significa che non potrò mai offenderlo, ne’ scrivere male di lui o che in ufficio mi rompo le palle dalla mattina alla sera. E questo mi guasta parecchio le cose. Perché io voglio scrivere quello che mi pare. Sempre. C’è anche da dire che l’ufficio dove lavoro è l’ambizione massima per qualsiasi persona sulla faccia della Terra, che il mio capo in realtà è fichissimo e che non mi rompo mai le scatole in ufficio, anzi. E’ tutto bello, colorato, diverso, vivo, creativo, tecnologico, senza umori da ufficio. Siamo tutti liberi. Detto questo, vi sto scrivendo dal tavolo nel salotto di casa mia, sono le una di notte e sono appena tornata a casa. Viola dorme, il marito l’ho lasciato a giocare a poker. Avevo vinto una mano, ma era quella di prova. Tutti penseranno che sono o fortunatissima, o un’eccellente giocatrice di carte. Ma io detesto vincere perché detesto essere fortunata. Eravamo a cena da un mio ex, quello che io ho sempre chiamato “il mio ex panzone inglese quarantenne”. Lui lo sà eh per carità. Con lui andai in Thailandia il giorno dello Tsunami e la fortuna volle (sì, qui esser fortunata mi è piaciuto molto) che perdemmo l’aereo per Puket, l’isola che il giorno dopo l’onda anomala non c’era più. E così la Farnesina mi cercava, la famiglia mi cercava, le amiche mi cercavano morta su qualche telegiornale e invece noi l’avevamo scampata. Ci siamo lasciati all’aeroporto tornando in Italia. Lo Tsunami era lui. Siamo rimasti ottimi amici, com’è ovvio che sia, e stasera eravamo a cena da lui. Ierisera invece eravamo ad una festa di un amico nostro ed ero c o s ì felice che non mi sono accorta di aver bevuto c o s ì tanto. Finché ero alla festa, chiacchieravo, che vi devo dire, stavo bene. Mio marito dice che entravo nelle conversazioni e la gente scappava, ma secondo me queste cose le vedeva solo lui. O forse non le vedevo io perché ero…brilla. Fatto sta che quando sono uscita da quella casa non mi ricordavo più chi ero. Aiuto. Più che altro non mi ricordavo che se bevi due o tre, forse quattro o cinque di quelle bollicine e poi ci aggiungi un vodka tonic e poi ancora bollicine…beh, speravo di reggere meglio ecco. Invece in metropolitana al ritorno, volevo morire. Una tortura. Che faccio, chiudo gli occhi? No forse sono già chiusi. Ma allora gira tutto. Oddio apri gli occhi apri gli occhi. Adesso cammina. Tanto. Anzi torna a casa a piedi va che è meglio. Le vie del Signore sono finite. A casa poi, mi aspettava il discorso per congedare la baby sitter. Maschera, serietà ed ecco Allegra impeccabile. Poi muoio a letto a pelle d’orso. E mi risveglio solo stamani verso le 11. Mio marito direttamente alle 4 del pomeriggio. Viola in tutto questo girava per casa facendo finta A) di essere su un’ambulanza a sirene spiegate perché il suo orso era in fin di vita B) una filosofa di quattro anni che tentava di spiegare a me, con i capelli rasta, la maglietta ed i boxer la mattina appena sveglia, cosa fosse un paradosso citando Achille e la tartaruga C) un architetto che fotagrafava col mio telefono le sue costruzioni da inviare poi via email allo zio architetto per avere un suo parere. Non.Ce.La.Posso.Fare. La mia amica S. mi ha promesso che al suo ritorno dall’Italia mi avrebbe portato l’enciclopedia “che fa per Viola” così da sfamare il suo cervellino mai stanco e sempre affamato. Io in compenso, sto seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di andare a ripetizioni di….tutto. No perché voi magari ridete, ma le domande di mia figlia non hanno risposte, almeno io non le trovo. L’universo, le stelle, il sistema solare, poi Giove, Marte, Saturno, chi gira intorno a cosa….Io riesco solo a perdere tutto e a farmi rubare tutto. Ieri, ad esempio, sono sicura che qualcuno mi abbia rubato il cellulare dalle mie mani. Vi spiego. Ero dall’osteopata per Viola che è tutta torta, esco, prendiamo il bus, scrivo emails a raffica, scendiamo da bus, scrivo email a raffica, poi stavo scrivendo un messaggino al mio capo, poi ci ripenso e poi puff, non ho più il cellulare. Sarei stata ubriaca solo dopo alcune ore, quindi l’ipotesi di uno stato d’animo alterato è da scartare. Mancano solo le mani del ladro, per il resto c’è tutto. Cioé il cellulare manca ed io non l’ho perso. Quindi me l’hanno rubato. A meno che io non l’abbia involontariamente buttato nella spazzatura. Insomma, sono senza cellulare. L’ultima volta che l’ho perso, l’avevo lasciato all’edicola a Firenze e l’ho ritrovato alla stazione a Livorno. Magari qua lo troverò al porto di Dover, chissà, in mezzo a qualche sogliola. Le vie del Signore sono infinite.
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