Parlare con i limoniCinque anni fa moriva Enzo Biagi

Cinque anni fa moriva Enzo Biagi. I giornali non ne hanno parlato. I quotidiani, d'altronde, scrivono del presente, forse del futuro. Certamente non del passato. Cinque anni dopo, la figura di Bia...

Cinque anni fa moriva Enzo Biagi.

I giornali non ne hanno parlato. I quotidiani, d’altronde, scrivono del presente, forse del futuro. Certamente non del passato.

Cinque anni dopo, la figura di Biagi è ancora molto popolare. Un esempio per tutte le nuove generazioni di giornalisti. Biagi, come ha scritto Saviano, rappresenta in questo senso un fenomeno anomalo. In genere gli eroi sono “giovani e belli”, non anziani signori con cinquant’anni di carriera sulle spalle.

Biagi iniziò la sua carriera a diciasette anni. Lo fece entrare nelle redazioni, il professore di filosofia. A vent’anni è praticante. Poi scoppia la seconda guerra mondiale. Il tempo delle scelte, per usare una sua definizione. E Biagi, malgrado una famiglia fascista, sceglierà la Resistenza. Giornalista anche fra i partigiani. Ognuno resiste con le sue armi e lui curerà il giornale della brigata. Già allora si erano accorti che era più bravo con le parole che con il fucile.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, Biagi diventa un giornalista affermato. Ottiene la direzione di Epoca e poi quella del Tg1. Conquista l’affetto del pubblico che ama il suo stile semplice ma non quello della politica che non sopporta la sua schiena dritta. Più volte ministri e politici lo costringono alle dimissioni.

Negli anni Settanta i direttori lo mandano a scrivere reportage in giro per il mondo, principalmente in Nord Europa o in Sudamerica. Sono racconti da manuale, descrizioni malinconiche, paesaggi e popoli che s’intrecciano e che diventeranno anche best-seller e libri a fumetti. Si scoprirà poi che veniva mandato lontano dall’Italia su precise disposizioni della Loggia P2 che controllava indirettamente molti quotidiani nazionali.

Negli anni Ottanta-Novanta diventa un editorialista di punta della Rai. Realizza “Il Fatto”, una striscia di pochi minuti sulla notizia del giorno che sarà votata come il miglior programma giornalistico della storia della tv pubblica.

Il 18 aprile del 2002 la ruggine fra Biagi e il potere ritorna. Ritorna sotto forma di una dichiarazione pubblica del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e passerà alla storia con il tetro nome di “editto bulgaro”: “L’uso che Biagi… Come si chiama quell’altro? Santoro… Ma l’altro? Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga.”

Biagi replicò quella sera stessa in diretta televisiva con un video in cui tirava fuori tutta la grinta e l’orgoglio di una vita al servizio del lettore: “Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri”.

Come tutti sanno l’editto bulgaro diventò realtà. Biagi lasciò la televisione pubblica dopo un’imbarazzante tarantella e vi ritornò solo nel 2007. Era un uomo diverso. Stanco, anziano. Abbatutto dai lutti famigliari e dalla censura. Ritornò in televisione appena in tempo per salutare il suo pubblico trasversale e fedele. Poi a novembre morì, citando la celebre poesia di Ungaretti: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Metafora della fragilità della vita, e in particolare della vita di un cronista e di un uomo libero.

Cinque anni dopo, nel suo anniversario, il mondo è cambiato. La televisione arretra, Internet è sempre più regina dell’informazione. Cinque anni dopo, però, le voci libere continuano a scontarsi con una politica che spesso fa fatica ad accettarle. E talvolta manda truppe organizzate sui loro blog, sulle loro pagine Facebook, sui loro video per insultarle, minacciarle, ridicolizzarle, sminuirle. E a volte sono i capi stessi di quelle truppe che insultano, attaccano, fanno elenchi non molto diversi -nella sostanza- dall’editto bulgaro.

Cambiano i tempi ma non cambia il rapporto problematico fra il potere e le critiche. In ogni epoca, chi vorrà scrivere liberamente dovrà mettere in conto che l’oggetto delle tue critiche, sopratutto se occupa posizioni di rilevio, difficilmente reagirà con il dialogo e con il rispetto. Ed è questa la grande lezione di Enzo Biagi: tenere sempre la schiena dritta, non cedere mai alle lusinghe o alle minacce del potere. Per rispetto verso il lettore, verso noi stessi e verso la nostra dignità.

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