I nuovi investitori? Russi, arabi, cinesi, ma non solo. Leggo su diversi siti internazionali, che secondo un recente report di Knight Frank, società di consulenza immobiliare britannica, sarebbero all’orizzonte una nuova serie di investimenti a livello mondiale, nel settore immobiliare da parte di super-fondi australiani e canadesi.
Super-fondi, perché nei prossimi due anni, secondo i consulenti britannici, la dotazione dei fondi pensione australiani e canadesi dovrebbe aumentare del 10%, attestandosi rispettivamente a 1,4 trilioni (1.400 miliardi) di dollari, e a 1 trilione di dollari.
I fondi pensione australiani, con le modiche alla legislazione che impegnerà i contribuenti ad aumentare i versamenti pensionistici obbligatori nei prossimi sette, otto anni, stanno iniziando a vagliare una diversificazione del loro portafoglio, valutando investimenti nel mercato immobiliare Nord americano, e anche in quello europeo. Il tutto è spiegato con il fatto che i rendimenti immobiliari, nella maggior parte dei mercati globali, continuano a offrire proventi più significativi rispetto ai titoli di Stato. Inoltre, sono alla ricerca di una stabilità nei flussi di cassa, rispetto al contesto attuale che vede bassi tassi di interesse e un’inflazione imprevedibile.
I fondi pensione canadesi, dal canto loro hanno già costruito una forte presenza internazionale negli ultimi dieci anni, accumulando una notevole esperienza nel mercato immobiliare globale. Se nel 2000 l’attività immobiliare pesava per un 5,2% sul portafoglio complessivo, nel 2011 questa percentuale ha raggiunto il 9,4%.
È indubbiamente una notizia interessante, anche per lo Stato italiano, alle prese con le dismissioni pubbliche, ma mi chiedo solo una cosa: come si può spiegare che nel nostro Paese per iniziare una produzione industriale, dall’acquisto del terreno al prodotto finito, ci vogliono 7 anni, e, ad esempio negli Stati Uniti, 11 mesi? E che quindi non viviamo con i tempi marziani?