La Frusta LetterariaMa davvero la Rete è democratica?

In un suo vecchio articolo Umberto Eco, riflettendo sulla rivoluzione informatica in atto, stilava una originale classificazione del Mondo Nuovo dell’informazione sorto con la diffusione planetaria...

In un suo vecchio articolo Umberto Eco, riflettendo sulla rivoluzione informatica in atto, stilava una originale classificazione del Mondo Nuovo dell’informazione sorto con la diffusione planetaria di Internet. Secondo il grande semiologo e narratore italiano – ricordo a mente il suo discorso- sarebbe sorta questa specie di nuova Atene: nel gradino più basso i Meteci, ossia solo gli spettatori passivi della TV, quelli che hanno il telecomando in mano e credono di essere liberi di scegliere i programmi ma che in verità sono dei “telecomandati”; poi il Demos, ossia la massa indistinta e anonima degli utilizzatori di Internet, e infine gli Aristoi coloro che non si limitano a consumare i contenuti di Internet, ma ve li immettono. I nuovi signori dell’informazione.

L’idea dell’orizzontalità della rete è dunque sconfessata già dal fatto che chi immette i contenuti sia il vero nuovo aristocratico, il quale è già un aristocratico non solo rispetto al demos fruitore della rete ma ancor di più rispetto al passivo e “vecchio” meteco spettatore televisivo. Certo, visto il numero di blog e di pagine web che ogni giorno nascono, ci troviamo di fronte a una aristocrazia di massa e quindi in qualche modo a una negazione in termini del principio stesso di aristocrazia (come quelle bottiglie “esclusive” prodotte però in migliaia di esemplari), principio che si basa sul rapporto dialettico “pochi/molti”. Ma per quanto numerosi siano i produttori di contenuti web, la rete non è neanche quel luogo dei perfetti liberi e uguali del comunismo di Babeuf.

Talora per poter commentare gli articoli occorre superare lo sbarramento di arcigni moderatori (che a me ricordano i moderatori della Tavola Valdese, ossia dei veri e propri “ministri del culto”), talaltra occorre logarsi, ossia per entrare dentro il fortino di Ali Babà, devi pronunciare degli “apriti sesamo”, dei login, composti da ben due chiavi di accesso: l’IDentificativo e la parola d’ordine, e ciò vuol dire anche che alcune volte, per avere questo privilegio dell’accesso, devi sborsare preventivamente del denaro.

Infine, anche per il battitore libero, per il blogger, occorre che una volta espressa la tua opinione ci sia un motore di ricerca che “indicizzi” correttamente la pagina del tuo blog, e questi motori di ricerca, anche i più “democratici”, quelli che valutano il tuo input alla Rete in base alla qualità del contenuto medesimo (congruenza del testo attraverso i metatag) come anche dal numero di visitatori che nel frattempo ti sei guadagnato col sudore della tua fronte, ebbene questi motori sono aziende commerciali: hanno l’occupazione e la preoccupazione che nella formazione del ranking delle pagine (non sempre spontaneo) ci sia la giusta soppesazione della tua opinione come anche del loro ritorno economico quantomeno.

Neanche gli algoritmi dei motori di ricerca perciò sono totalmente neutrali, come del resto non sono innocenti nella vecchia tivù tutte le trasmissioni -avendo esse una propria poetica e una proprie estetica ben incorporata come un cookie -, ivi comprese le previsioni atmosferiche o l’estrazione dei numeri del lotto (essendo a ben guardare le prime fatte proliferare per stordire i pensionati dai problemi di ogni giorno – o per impedire loro magari di dire a giusto titolo “Piove, governo ladro” – e le seconde solo per narcotizzarli con una numerologia magica, allucinatoria e incantatoria).

Se così è, se c’è del marcio dappertutto – come posso pensare anch’io preso da un attacco di bisbetismo senile-, non resta che abbandonarsi alla deprecatio temporum di sempre. Ma ammettiamolo: in Rete c’è più gusto a farlo. Il nostro lirismo sulla vanità del tutto vi acquista dimensioni cosmiche che neanche Leopardi…

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