Che il Tesoro faccia un regalone di Natale alla Fondazione Mps, accettando di pagare a prezzi di simpatia le azioni di Banca Mps, è un pensiero che sta riscaldando molti cuori a Siena. I Cecuzzi, i Mancini, i Monaci e la compagnia cantante del Pd senese con i suoi referenti nazionali – coloro insomma che con Giuseppe Mussari hanno a vario titolo orientato/condiviso/gestito le scelte strategiche della banca e della fondazione – sperano così di salvare un pochettino la faccia di fronte ai loro cittadini ancora increduli per aver visto andare in fumo una fortuna costruita in oltre cinque secoli. Ma il danno alla secolare storia del Monte è fatto, e non sarà recuperato in tempi brevi.
C’è invece un altro danno che va evitato: al popolo italiano. Il danno che, con la scusa di salvare la banca senese, si dia un premio di consolazione ai suoi azionisti, e in particolare alla fondazione presieduta da Gabriello Mancini. Entro fine anno, infatti, il Tesoro presterà al Montepaschi 3,4 miliardi, tramite «Nuovi strumenti finanziari» emessi dalla banca (i “Monti bonds”), a un tasso ancora da fissare ma atteso nell’ordine del 10% annuo. La normativa prevede che, se la banca non è in grado di pagare gli interessi, il Tesoro riceva «azioni ordinarie di nuova emissione per una quota del patrimonio netto corrispondente all’importo della cedola non corrisposta». E qui sta l’inghippo e il regalo potenziale per la fondazione e gli altri azionisti attuali di Mps.
Azioni al posto degli interessi: ma a che prezzo? La formulazione della norma è un po’ vaga: forse troppo, visto che è stata partorita dal cosiddetto “governo dei tecnici”. Ad ogni modo, viene generalmente interpretata nel senso che il Tesoro pagherebbe le azioni in base al loro valore patrimoniale netto contabile (non viene specificato se consolidato o della capogruppo), circa 0,86 euro sulla base della terza trimestrale 2012. Si noti, peraltro, che nella voce ”patrimonio netto” rientrano a livello contabile anche gli “strumenti di capitale”, e quindi anche i Tre-Monti bond: ma non sarebbe paradossale che il Tesoro pagasse le azioni Mps a un valore alla cui formazione concorrono i soldi che il Tesoro stesso ha prestato alla banca? Ad ogni modo, in Borsa le azioni Mps quotano a 0,20 euro.
Le cronache raccontano di una surreale trattativa in cui il Tesoro spingerebbe per strapagare le azioni Mps. È uno di quei casi in cui bisogna rendere grazie per l’esistenza di un commissario europeo alla Concorrenza. Linkiesta ne aveva già scritto lo scorso 27 agosto (Lo Stato salva la banca, gli azionisti si arrangino). La Comunicazione della Commissione relativa «all’applicazione, dal 1° gennaio 2012 , delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria» non lascia scampo:
(Paragrafo 8) La Commissione valuterà pertanto la remunerazione di tali conferimenti di capitale sulla base del prezzo di emissione delle azioni. Il conferimento di capitale deve essere sottoscritto con uno sconto sufficiente rispetto al prezzo delle azioni [previo adeguamento in base all’effetto di diluizione] registrato immediatamente prima dell’annuncio del conferimento stesso, in modo da offrire allo Stato una ragionevole prospettiva di adeguata remunerazione.
In soldoni,la ricapitalizzazione sottoscritta dallo Stato, tale è il pagamento della cedola di interesse tramite azioni, è a tutti gli effetti un aumento di capitale a condizioni di mercato, con l’unica differenza che chi sottoscrive è lo Stato. Ora è vero, come ha detto sabato scorso l’a.d. di Mps Fabrizio Viola, che «non conosciamo ancora la struttura contrattuale del nuovo strumento finanziario» e che l’eventuale ingresso del Tesoro nell’azionariato «dipenderà dalla capacità della banca di generare reddito in futuro». Ma è anche vero che immaginare una miracolosa ripresa di Mps in tempi record, diciamo da qui a sei mesi, è irrealistico. Per cui si può azzardare una simulazione, tenendo conto del fatto che il Tesoro non può sottoscrivere i nuovi strumenti finanziari se la banca non riscatta prima i Tremonti bond, accettando di remunerare questi ultimi, per l’anno 2012, alle condizioni previste per i Nuovi strumenti finanziari (v. Dl 95/2012, artt. 23 sexies e septies).
Vuol dire che alla prima data di pagamento (il 1 luglio 2013) la banca dovrà versare 190 milioni di euro (cioè il 10% sui 1,9 miliardi di Tremonti bond). Se non ce li ha, deve assegnare al Tesoro un quantitativo di nuove azioni emesse alle condizioni stabilite dalla Commissione europea, ossia con uno sconto rispetto al prezzo delle azioni, tenendo conto dell’effetto diluitivo,da calcolare con la formula del Terp, il prezzo teorico ex diritto. Unicredit, per avere un termine di confronto, fece l’aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro con uno sconto del 43 per cento.
Ipotizzando che le quotazioni di Mps restino ai livelli attuali (0,20 euro), il ministero dell’Economia potrebbe sottoscrivere le nuove azioni a un prezzo di 15 centesimi cadauna, o anche di 12 o di 10 cent. Nel primo caso, lo sconto sul Terp sarebbe del 23% e il Tesoro avrebbe il 9,78% della banca, nel secondo caso lo sconto sarebbe del 37% e la quota dello Stato sfiorerebbe il 12%, mentre nell’ultima ipotesi, il Tesoro avrebbe quasi il 14% a fronte di uno sconto del 46,24 per cento. Da gennaio 2013, invece, matureranno interessi per 340 milioni l’anno, ma poiché gli interessi/azioni saranno pagati solo a metà 2014, si possono lasciar perdere le simulazioni, notando tuttavia che gli effetti diluitivi sarebbero imponenti se la banca non avesse utili a sufficienza per pagare in contanti le cedole. Qualche considerazione invece dovrebbero farla ai vertici della Fondazione Mps, che già a luglio 2013 potrebbe diluirsi nei dintorni del 30% dal 34,94% attuale: l’ente senese ha ancora 350 milioni di debiti, garantiti da pegno sulle azioni, che oggi valgono 800 milioni e in futuro chi può dirlo.
Twitter: @lorenzodilena