Fu cattiva banca o cattiva politica? O fu tutt’e due? Ai posteri l’ardua sentenza. Quella del tribunale di Milano è che fu cattiva banca, ed è difficile negarlo. Ma fu solo questo? Il caso dei derivati del Comune di Milano è giunto alle battute finali. E la stampa ha parlato di sentenza storica e di lezione alle banche. Che dire? Cosi è…se vi pare.
Prima di cominciare, la mia deontologia di blogger mi obbliga a un’avvertenza, un disclaimer. Il sottoscritto ha giocato il ruolo di comparsa in qualche puntata della soap opera, incarnando il personaggio, come si dice in questi casi, di un “buono” e senza alterare il corso degli eventi. Nonostante che sia comunque escluso ogni conflitto di interessi, la regola dei chinese wall deve a mio avviso separare l’attività di blogger da quella professionale. Per questo motivo non utilizzerò alcuna informazione privata, sia essa riservata o meno, per costruire questo pezzo, ma solo informazione pubblicata sui giornali. Ma, come spesso capita, l’informazione pubblica è più che sufficiente.
Prima domanda. Le banche hanno veramente perso nel caso di Milano? Da un bilancio complessivo pare di no. Nel 2005 le banche hanno proposto a Milano l’emissione di un titolo a tasso fisso e la trasformazione dei pagamenti di interesse in tasso variabile con un limite superiore (una garanzia a favore del comune) e un limite inferiore (una garanzia a favore delle banche). I derivati erano congegnati anche in modo da mettere in regola il finanziamento con la normativa, che richiede che il capitale venga rimborsato con un piano di ammortamento, e non con il rimborso in un’unica soluzione alla scadenza (come prevedeva il tasso a titolo fisso collocato sul mercato). Dopo una sequenza di ristrutturazioni, sulle quali non ci soffermiamo, il caso è finito in tribunale. L’accusa era il fatto, ma non solo quello, come vedremo, che le banche avessero caricato nella transazione, e non dichiarato, costi per circa 100 milioni (su una dimensione della transazione di 1,65 miliardi). La sentenza ha stabilito la restituzione di 88 milioni dalle banche al Comune. A questo si sono aggiunte sanzioni penali per i funzionari delle banche. Risultato è che la stampa grida alla sentenza storica e alla sconfitta delle banche. Ma fu vera gloria? Guardiamo cosa è successo ai derivati. Sono stati parzialmente chiusi, e le banche hanno congelato in un conto i guadagni del Comune di Milano, ma soprattutto hanno rivendicato, e si sono prese, 63 milioni di “funding cost”. Costi di finanziamento di che? Dove sta scritto che chi chiude una transazione ha il dovere di sostenere i costi di finanziamento della controparte? Volete dire che se vado in banca e chiudo anticipatamente il mio mutuo la banca mi paga i “funding cost” per rimpiazzarlo? Non scherziamo. Questa storia dei “funding cost” in chiusura dei contratti è una leggenda metropolitana, con la quale le banche stanno provando a guadagnare dalla chiusura dei derivati, dopo aver lucrato sull’apertura. E’ un po’ come la vecchia storia delle commissioni di ingresso e di uscita dai fondi. Quindi, a conti fatti, 88 milioni rimborsati al Comune perché impropriamente incassati all’origine dei contratti contro 63 intascati (tra il consenso generale) alla chiusura. Ci sono quindi 25 milioni di differenza. Ci saranno novità in appello? Se la somma da rimborsare verrà significativamente ridotta, forse le banche porteranno a casa un guadagno netto. E poi resterà il precedente: se vorrai chiudere un contratto in cui sei in attivo, devi trovare i soldi per il “funding” da pagare alla banca. Dall’altro lato abbondano precedenti asimmetrici nei quali le banche se ne fregano di trovarti i fondi se sono loro a trovarsi in attivo. Rimettere a posto questo cattivo esempio richiederà tempo e pazienza.
Seconda domanda. Davvero è stata solo cattiva finanza? Nel caso di Milano non c’è stata anche cattiva politica, o cattiva amministrazione? Aspettiamo le motivazioni della sentenza, ma sappiamo chi fu l’advisor che consigliò di affidare il contratto a Defpa, Deutsche Bank,JP Morgan e UBS. Non fu uno solo, furono addirittura quattro: Defpa, Deutsche Bank, JP Morgan e UBS. Possibile che nessuno si sia accorto di una certa somiglianza, almeno nei nomi, tra i consiglieri e i consigliati? E poi, venendo ai contratti, non è venuto in mente a nessuno di farli valutare da qualcuno (anche da uno studente). Il fatto che il Comune di Milano fosse così sprovveduto di procedure e mezzi lascia più che perplessi. Eppure l’impressione che ho avuto nella mia comparsa nella soap è stata quella di trovarmi in una sorta di torneo aziendale della Bocconi, che forniva consulenti per una parte e per l’altra. E la domanda sorge spontanea: ma nel 2005, quando sono stati stipulati i derivati, la Bocconi non esisteva?
A Milano, quindi, c’è una strana asimmetria, tra le banche che sono state condannate ma non hanno perso, e la cattiva politica e amministrazione che è passata indenne alla sentenza, ma non ha vinto. E questo è strano, è molto più strano che innamorarsi…a Milano.