Poco prima di Natale la società di consulenza britannica EC Harris ha rilasciato un’interessante analisi sulla visione da parte dei grossi fondi d’investimento, e dei fondi sovrani, sul comparto delle infrastrutture come elemento importante nella loro strategia d’investimento, e sulle opportunità nei mercati maturi e in quelli emergenti. Oggi ancor più che in passato gli investimenti nelle infrastrutture – intese come reti di comunicazione, di trasporto, di distribuzione, e di approvvigionamento di energia – rappresentano asset fondamentali per la crescita e lo sviluppo di una società e del suo sistema economico. Non dappertutto, non in Italia.
Le infrastrutture infatti stanno diventando un elemento importante nel portafoglio degli investitori globali, sempre più attenti a questo elemento nella loro strategia di investimento, ed è anche per questo motivo che sempre più governi sono consapevoli che per attrarre investimenti devono garantire forti finanziamenti in questo settore. Un esempio? Nel Regno Unito entro il 2020 sono previsti investimenti in infrastrutture per 320 miliardi di dollari; in Brasile, vuoi ovviamente per i prossimi grandi eventi in programma, tra questo e l’anno prossimo gli investimenti saranno ben 596 miliardi di dollari.
E attenzione: l’investimento, da parte degli investitori globali, nelle infrastrutture di un Paese è una “scommessa” sul Paese stesso. Significa puntare sulla crescita economica di lungo termine di uno Stato, sulla base delle condizioni in essere, e di quelle previste, del mercato, e sulla capacità di fare impresa, tutti elementi che si riassumono nel concetto di “rischio Paese” e, conseguentemente, sulla sicurezza dell’investimento.
È su queste basi che è stato elaborato il “Global Infrastructure Investment Index” che attraverso cinque macrocriteri, 1) la qualità delle infrastrutture esistenti; 2) il contesto economico; 3) la facilità di fare impresa; 4) l’ambiente politico-sociale; 5) la disponibilità di finanziamenti e il contesto finanziario; e altri ventiquattro sottocriteri, è stata misurata l’attrattività di un Paese. Il risultato è che Singapore si posiziona come Paese più attrattivo, seguito dai Paesi del Gulf Corporation Council, e dai Paesi del Nord Europa.
E se otto tra i tredici Paesi europei analizzati si posizionano a metà classifica, l’Italia si colloca al 32° posto su 40 Paesi, dato reso ancora più palese, come dimostra il grafico sottostante, se si analizza la posizione del nostro Paese nell’ambito del ciclo degli investimenti, in una posizione considerata difficile dagli investitori perché le prospettive sono ritenute complicate e problematiche, vuoi per la presenza di norme restrittive, vuoi perché i troppi controlli burocratici sono considerati un ostacolo, e ciò implica rendimenti meno certi e meno sicuri per gli investimenti.
Ed è giusto questo il punto determinante: gli investimenti nelle infrastrutture sono ad alta intensità di capitale, con problematiche, errori ed imprevisti tra i più disparati nella fase costruttiva, e con performance di rendimenti altalenanti che possono variare nella successiva fase di gestione. Perché aggiungere il rischio di presentare un progetto che verrà approvato dopo anni? Perché aggiungere il rischio di vedersi bloccato un progetto tra mille comitati d’analisi e mille lungaggini burocratiche? Perché aggiungere il rischio che le norme in ambito fiscale cambino anno dopo anno? È anche questo lo spread che ci separa dagli altri Paesi.