Ieri Mario Monti rispondendo a un giornalista ha suggerito di non chiamare più lo schieramento guidato da Bersani “centro-sinistra” ma più semplicemente “sinistra”. È il primo cedimento strutturale al berlusconismo che viene da palazzo Chigi. Infatti l’asse attorno a cui si è costruita l’intera vicenda politica di Berlusconi è stato infatti la negazione dell’identità plurale dell’avversario e il tentativo di ridurlo a pura riesumazione di antiche formule. Berlusconi parlava di comunisti, Monti ci sta arrivando.
Penso che sia un cedimento strutturale perché rivela la debolezza del premier. Monti teme di perdere consensi nel suo bacino preferito, il cosiddetto centro. La carta vincente della sua creatura politica, un mix di tecnici e vecchie mummie, sta appunto nel presidiare quella che si chiama comunemente area moderata. Qui ha due avversari.
Uno è Berlusconi, che galvanizza i moderati incazzati, cioè quella parte di popolo che è anticomunista, ostile allo stato, irritato dalle regole, euro-scettico. Questi si autodefiniscono moderati perché ciascuno è libero di darsi il nome che crede ma in questi decenni hanno dato prova di esasperazione in ogni campo. Monti spera di spaccare questo mondo sottraendogli quella parte, direbbero i professori dei girotondi, più riflessiva. Di qui la polemica con Berlusconi, di qui l’ostentato appoggio del partito popolare europeo.
L’altro fronte moderato che Monti vuole intercettare è quello che guarda a sinistra, che crede nel riformismo di Bersani, che esprime una contrapposizione con il mondo culturale e valoriale di Berlusconi. Monti cerca di mischiare le carte e dice a questo mondo che non sta sostenendo una coalizione multicolore ma uno schieramento frontista, rosso che più rosso non si può. Chi guarda con occhio obiettivo al partito di Bersani vede che il professore ha torno. Nel Pd ci sono componenti che non sono assimilabili alla cultura storica della sinistra, da Renzi a Letta a Fioroni e alla sua ineffabile segretaria prezzemolino di ogni lista. Nel suo codice genetico il Pd ha una pluralità di voci, se poi in determinati momenti prevale una componete più di sinistra questo accade allo stesso modo che in tutti i partiti che si oppongono al mondo conservatore in Occidente- Monti ha girato il mondo e sa che è così. Oggi c’è Bersani domani ci può essere Renzi o Fassina.
Se questo partito saprà restare unito al di là del suo momentaneo leader avrà vinto la partita della storia. In ogni caso chiamare sinistra una forza politica che, basta guardare alle liste, rappresenta il più robusto miscelamento di ceti e culture è un cedimento al propagandismo che non ci si aspetterebbe dal rettore della Bocconi.
Non sarebbe onesto tuttavia confutare questa tesi di Monti senza ricordare che a sinistra circolano tesi altrettanto fasulle su di lui come uomo delle banche, come destra pura, come nemico del popolo. Monti è un conservatore di larghe vedute che combatte il populismo anti-europeo e che potrebbe essere un alleato della sinistra. Chi lo dipinge come un nemico, si tratti di Vendola o di Fassina, commette lo stesso errore di chi dice che Bersani è a capo del Fronte popolare. Va bene la polemica politica, va bene la crudezza dello scontro in campagna elettorale, ma un po’ di serietà non guasterebbe. Anche perché, come cantava Ivan Della Mea, “dare etichette è sempre da co… ni”.