“L’innovazione, nel nostro Paese, è spesso concepita come un ambito circoscritto, strettamente tecnologico. Nulla di più sbagliato. Si tratta del futuro sociale ed economico del nostro Paese. Si tratta della qualità della vita di tutti noi.” Con queste parole la Carta d’intenti per l’Innovazione -al centro del convegno odierno “Meglio tardi che mai”- si propone di indicare delle priorità programmatiche per le politiche dell’innovazione, troppo spesso considerate poco importanti nei piani politicidi questo Paese.
Anche l’Agenda Digitale Italiana, in linea -o presunta tale- con l’Agenda Digitale Europea, ha scontato una mancanza di vision, riscontrando non poche critiche dal settore di riferimento. Si dice spesso che uno dei freni dello sviluppo economico dell’Italia è rappresentato dalla mancanza di competitività. Ma cos’è la competitività, se non la diffusione della conoscenza, del sapere? E quale strumento è in grado di diffondere al meglio le competenze, e formare figure specifiche per affrontare le sfide che un mondo sempre più interconnesso ci presenta?
L’associazione Stati generali dell’Innovazione individua nella sostenibilità, nell’apertura (Openness) e nella centralità territoriale i fulcri sul quale far leva per (ri)dare un futuro a questo Paese, troppo spesso imbavagliato da logiche baronali che poco o nulla hanno a che fare con il talento e la creatività. Ed è per questo motivo che ha delineato le 11 (10+1) proposte sottoposte ai candidati che si presenteranno alle urne di fine febbraio.
Un piano strategico per l’innovazione, dove qualità e accuratezza delle proposte siano al centro dell’attenzione, un programma di alfabetizzazione digitale, nel quale la Rai possa giocare un ruolo determinante: si pensi alla straordinarietà culturale impartita dal maestro Alberto Manzi negli anni ’60. Rilanciare il ruolo della scuola, dell’Università, della formazione continua, puntare fortemente sull’Open Government e sugli Open Data per aumentare l’efficacia e l’efficienza del settore pubblico e fare in modo che ci sia il massimo della condivisione all’interno dei processi decisionali.
Promuovere il commercio elettronico, riorganizzare i modelli produttivi delle piccole e medie imprese, eliminare le barriere all’ingresso nel mercato dell’Ict e la realizzazione del modello “fibra dei cittadini“. E, probabilmente, tassello più importante e da raggiungere al più presto, eliminazione del digital divide, riconoscendo la banda larga come servizio universale, fondamentale. Senza di esso, e con un Paese ancora ai bassifondi nelle classifiche europee che riguardano la copertura a larga banda, sarà pressochè impossibile avviare processi di digitalizzazione.
Mettere, infine, in rete la filiera dell’innovazione per attuare una politica economica basata sull’innovazione come motore della crescita e dello sviluppo. Basti pensare che l’economia legata ad Internet ha creato 700mila posti di lavoro negli ultimi anni, e la domanda diventa d’obbligo: perchè non puntare su di essa per contrastare disoccupazione e recessione?