Con il mercato immobiliare sostanzialmente fermo e con l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate che rileva come nel IV trimestre 2012 il volume delle compravendite immobiliari sia sceso del 29,6% su base annua, segnando il peggior dato dall’inizio della rilevazione, avviata nel 2004, si stanno facendo sempre più strada formule “diverse” per l’acquisto della casa.
La crisi del mattone ha radici che risalgono ormai ad un decennio fa, e che oggi stanno trovando il loro culmine con una serie di circostanze concomitanti: la crisi economica, l’IMU e la stretta creditizia. Ecco quindi che moltissime famiglie in forte difficoltà economica a causa della crisi che stiamo vivendo, che vorrebbero vendere casa per “sistemare i conti” si trovino, di fatto, intrappolate in un cortocircuito, con due alternative: o svendere le loro abitazioni abbassando i prezzi o, se non sono pressate dai debiti, tenerle loro malgrado in attesa di tempi migliori. Ecco perché spiegato, in parte, il crollo del numero di compravendite che al momento è più alto del calo dei prezzi.
D’altro canto quei pochi che vogliono comperare casa non riescono a farlo per via delle condizioni troppo restrittive stabilite delle banche che hanno alzato gli spread, la quota di contanti ed il rapporto rata reddito famigliare. Se prima della crisi bastava che il mutuo fosse pari all’80% del valore dell’immobile, oggi le banche erogano con il 60%. Se prima della crisi bastava che il rapporto rata reddito famigliare non superasse il 30%, oggi è richiesto un reddito di quattro volte la rata.
Ecco quindi comparire, o meglio, essere spacciata come tale, la “formula risolutiva” per uscire da questa situazione: l’affitto con riscatto. Ma attenzione, non va confuso con il “rent to buy”.
L’affitto con riscatto, è la prima cosa da sottolineare, è un formula non contemplata dal Codice Civile. Per molti aspetti può richiamare la formula del leasing: l’acquisto della casa avviene tramite una locazione di durata paragonabile a quella del mutuo che si vorrebbe sottoscrivere, al termine della quale avviene il trasferimento della proprietà all’inquilino col riscatto. In buona sostanza: il venditore finanzia l’acquirente con un pagamento rateizzato sotto forma di affitto.
Con il “rent to buy”, il venditore e l’acquirente concordano un programma di vendita/acquisto nel tempo, con cui il venditore finanzia l’acquirente con un finanziamento rateizzato che va ad aggiungersi, e si somma, all’affitto corrisposto. In buona sostanza: il venditore congela il prezzo di vendita, e agevola l’acquirente nella tempistica del rogito.
Da questa differenza si sono sviluppate tutta una serie di formule, utilizzate specialmente dalle imprese di costruzioni con l’obiettivo di “smaltire” lo stock di invenduto accumulato.
Tutti contenti?
Non proprio. Con l’acquisto con riscatto, ad esempio, l’acquirente può davvero rischiare seri problemi nel caso di fallimento dell’impresa venditrice o nel caso in cui l’immobile venga pignorato. Inoltre, proprio non essendo una tipologia disciplinata dal legislatore, se per un qualunque contrattempo l’acquirente dovesse rinunciare all’acquisto, perderebbe tutte le somme versate per l’acquisto (futuro). D’altro canto, comunque anche il venditore non ha alcuna certezza di aver venduto l’immobile, ma anzi si sta impegnando, per alcuni anni, a tenere l’immobile a disposizione del suo inquilino nella speranza che questi – per recuperare in tutto o in parte l’affitto pagato – acquisti effettivamente l’immobile.
E se è pur vero che questo problema può essere risolto attraverso una fideiussione emessa da un istituto di credito, che copra da tali rischi, anche con il “rent to buy”, il venditore non si sostituisce alla banca, come si potrebbe credere, ma funge da “garante” per far crescere l’acquirente sotto il profilo del “merito creditizio” agli occhi della banca stessa.
Ecco quindi come, alla fine, le banche vincano, comunque.