Mariuccia viene convocata in occasione di un premio ai trent’anni di onorata carriera lavorativa, trent’anni di “amazzone del lavoro”. Mariuccia è triestina e, quando nel gennaio del ’68 accetta l’incarico di infermiera presso il manicomio, non conosce ancora la distinzione tra la tutela del malato e un lavoro come un altro che ricorre a calci e pugni per tener fermi i corpi del disturbo sociale. Sagome fisse dall’alba al tramonto su sedie di smistamento, perché dopo l’ingresso in accettazione interviene la selezione e solo i più fortunati restano esclusi dalla marginalità violenta di certi reparti.
Muri è il titolo di una versione teatrale che, nei panni di una straordinaria, quasi inarrivabile Giulia Lazzarini, assume i contorni di un diario e di una rivoluzione, dagli orrori della pulizia e custodia inflitte ai ricoverati all’arrivo di Franco Basaglia all’inizio degli anni Settanta. Ma è soprattutto una drammaturgia scritta con la coerenza politico-sociale che da sempre chiarisce i percorsi di Renato Sarti, lasciandosi in più guidare dai tocchi musicali di Carlo Boccadoro.
Mariuccia si racconta da dietro un leggio, mentre accanto il graticcio sospende un telaio che replica i quadrati dei muri da cui fuoriesce un tavolo di legno con sopra delle stoviglie per il tè, senza nessuno seduto a fare compagnia. Il richiamo è alla chiglia di una nave che sbanda quando il racconto dell’uscita all’aria dei “matti”, per la prima volta e sul mare, evoca le loro grida liberatorie, le scosse della tempesta basagliana.
Lo scontro diretto tra un prima e un dopo viene ribadito dalla voce franta e già carica di mille vite di Giulia Lazzarini, mentre non lesina la parlata triestina con la certezza di quel che va detto sull’odore di piscio degli internati e il suo contrasto con la frenesia ipocrita del lustrare vetri e pavimenti. C’è la pelle guasta di chi finisce là dentro per depressione, alcolismo e svuotamento fino al reparto vecchi e incontinenti o ai lamenti dei figli di nessuno.
Mariuccia ricorda tutto nei dettagli, sa di chi finisce in quel cumulo di macerie a lavorare e sfoga sulle vittime di elettroshock e lobotomia la violenza vietata in famiglia. Sa che le schiene degli uomini vengono lavate con scope e pompe e che molte donne sono confinate lì perché il marito possa essere lasciato libero di tradirle. Ma questo è sempre il prima, il dopo arriva con “il filosofo” che impone di lavorare sul conflitto e abbattere i muri delle categorie mentali tra i presunti sani. E non si tratta di una santificazione, ma rivive un terremoto che ha prodotto per prima la promiscuità e da lì un’uguaglianza faticosa da ricostruire e non compresa come sanità riabilitativa, ma follia secondaria da cui tenersi al largo.
Il sorriso pieno e caldo di Giulia Lazzarini trattiene ogni verità di Mariuccia, ogni convinta asserzione di una pratica quotidiana dove chi è intervenuto a rendere uguali i disuguali sa ancora commuovere in memoria. Dove quel rimestare nell’orrore delle condizioni psicofisiche dei reclusi ha voluto dire anzitutto rovesciarne i ruoli, affidare anche ai medici il compito di lavare sotto i tavoli, gli stessi che sono serviti per condividere un pranzo accanto alle sofferenze da rispettare e capire. Il rischio di coinvolgersi è il lato oscuro e non mascherato, la conseguenza di una visione estrema che può anche arrivare ad allontanare dai propri cari.
Quel che sta dietro, il mistero sgomberato dalle brutalità acquisisce con il movimento basagliano una coscienza sociale e politica. Ciascuno è un soggetto di cui Mariuccia per trent’anni si prende cura tra pochi altri coraggiosi, non tanto perché si siano gettati nel buio, ma perché di quel buio hanno difeso una condizione paritaria restituendola a rispetto e ascolto. Il dopo Basaglia viene prima di qualsiasi imposizione di forza e allora la barca, il muro appeso ai ganci deve crollare perché nel tonfo che atterrisce si riconoscano barriere, cinghie e lerciume da lasciarsi definitivamente alle spalle.
A Trieste il dopo Basaglia sono gli occhi candidi di una donna che ha fatto il bagno con una matta indomabile provando persino la leggerezza del divertimento, e ha smesso di eseguire ordini per chiedersi chi fossero quei manichini appesi alle sedie per ore. Li ha aiutati ad alzarsi, ha gettato via le divise e li ha accompagnati a lavorare. Ha cullato i loro vortici e aperto le loro finestre. Per Mariuccia la famiglia è diventata un’uguaglianza scelta e combattuta e nessuno più di Giulia Lazzarini ne ha carezzato la battaglia di amazzone che oggi tira le somme di una semplice giornata da volontaria.
16 – 21 aprile
Teatro Franco Parenti Milano
Giulia Lazzarini
in
MURI – prima e dopo Basaglia
testo e regia Renato Sarti
musiche Carlo Boccadoro
scene Carlo Sala
luci Claudio De Pace
produzione Teatro della Cooperativa
in coproduzione con Mittelfest
con il sostegno di Regione Lombardia – Progetto Next e Provincia di Trie