I web entusiasti troveranno in questa notizia la conferma che la comunicazione online sta guadagnando sempre più terreno rispetto ai canali tradizionali: per la prima volta, tre giorni fa il 2 aprile, un ente governativo preposto alla vigilanza della borsa valori, la SEC, quella che potremmo definire la Consob americana – ha stabilito che Facebook e Twitter potranno essere utilizzati per le comunicazioni societarie.
Negli Stati Uniti le notizie diffuse sui social network avranno cioè lo stesso valore legale delle note stampa ufficiali, purché le aziende quotate segnalino chiaramente agli investitori quale media intendono usare. Un passo rivoluzionario che pone nuovi interrogativi ai professionisti della comunicazione corporate, ai professional di quella finanziaria e agli investor relator, chiamati ora a comprendere quali specifiche potenzialità del “medium on line” potranno essere sfruttare per migliorare i propri obiettivi di comunicazione.
Addio perciò al mitico “Nis”, a cui accedono la Borsa Spa, la Consob, le “società emittenti” e le agenzie di stampa? E’ forse cosa ovvia, che l’avvento di twitter e degli altri canali social non stravolgeranno le regole, ma la loro diffusività e la pervasività saranno ulteriori acceleratori su cui un buon comunicatore dovrà poter contare, o che dovrà contrastare per portare a casa il risultato atteso … Quindi probabilmente niente drammi, ma certo è che tutti i membri dei consigli di amministrazione e gli organi collegiali delle società quotate saranno sempre più al centro di verifiche per insider trading.
Perché regolamenti e policy aziendali servono sicuramente ad arginare il fiume in piena, ma dobbiamo ricordarci che alcuni profili twitter hanno un collegamento diretto con centinaia di migliaia di follower, e basta un retweet per arrivare al milione di possibili utilizzatori di un’informazione sensibile …
La decisione della SEC, d’altra parte, non fa che assecondare un trend già in atto e sembra stato un prodromo anticipatore di quello che sarebbe stato l’oramai celeberrimo cinguettio di Gad Lerner in merito alla vendita di La7, che rappresenta oggi solo un primo esempio di comunicazione price sensitive affidata all’autogestione di un profilo social. “E’ fatta. Telecom cede La7 a Urbano Cairo” dopo questo tweet il 4 marzo, come alcuni ricorderanno, il titolo di Ti Media chiuse al ribasso del 6,4%, dopo il venir meno della prospettiva di un’offerta di Clessidra che avrebbe comportato anche il lancio di un’Opa. Per questo, oltre alle verifiche per ricostruire il processo di formazione della notizia sulla vendita di La7 e la correttezza dei tempi e delle modalità di diffusione, la Consob avviò il consueto monitoraggio degli scambi sul titolo Ti Media per accertare chi ha comprato e venduto dopo la diffusione dell’indiscrezione: insomma nonostante la chiusura della trasmissione chi è stato l’infedele insider? Perché l’ha fatto? Da oggi la risposta sembra scontata: già si sapeva che anche questo tabù sarebbe caduto in prescrizione …
Tornando al di là dell’oceano l’utilizzo dei social network come canali di comunicazione è un’abitudine più consolidata rispetto all’Italia; infatti tre quarti delle aziende già li utilizza per interagire con i propri clienti mentre, come rileva uno studio del Conference Board e dell’università di Stanford, il 14,4% delle società a stelle e strisce impiega i social media per comunicare con gli azionisti. L’attivismo americano può diventare allora un benchmark importante per la community italiana dei professionisti della comunicazione. Anche tra le aziende italiane, infatti, cresce l’importanza e la rilevanza dei social network nel media mix. Una recente indagine condotta da eCircle Italia –e realizzata in collaborazione con Anved e Cribis D&B- evidenzia come il 77% delle imprese italiane abbia un presidio su Facebook, Linkedin, Pinterest e Youtube. Per il 57% di esse, inoltre, la presenza sul world wide web è legata alla necessità di trasmettere i valori del proprio brand e per il 53% i social risultano particolarmente utili a gestire l ’interazione con il proprio target di clienti.
Si apre perciò una stagione di grandi possibilità in attesa che anche l’Italia compia il “grande passo”, in cui gli imprenditori più lungimiranti riconoscano nella rete un locus idoneo alla costruzione di valore non solo per l’attività push (distribuzione e-commerce, mobile commerce) che questi canali consentono ma soprattutto per il monitoraggio e l’intelligence competitiva che essa permette.
Non rimane che prepararci e come argutamente sottolinea il giornalista Rai Pino Bruno dal proprio blog: “D’ora in poi – almeno negli Stati Uniti – un tweet di 140 caratteri potrebbe avere più peso di una relazione di mille pagine. Roba da maneggiare con cura”. Imprenditori, giornalisti, blogger (alcuni si definiscono tali) e colleghi professionisti della comunicazione: siamo tutti avvisati!
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