Battaglia di Dunkerque. Operazione della seconda guerra mondiale per mezzo della quale gli Alleati nel maggio 1940 evacuarono le loro truppe dopo lo sfondamento della Mosa e dopo che i Tedeschi ebbero occupato Abbeville (20 maggio) e accerchiato Boulogne (22 maggio) e Calais (23 maggio). Approfittando del fatto che i Tedeschi si erano inaspettatamente fermati di fronte alla città di Dunkerque, l’ammiragliato britannico mise in atto l’operazione Dynamo, già in preparazione dal 20 maggio, che prevedeva il reimbarco del corpo di spedizione del generale lord Gort. Tra il 26 maggio e il 3 giugno, nonostante i massicci attacchi aerei della Luftwaffe, la flotta militare e mercantile britannica riuscì a trasportare in Inghilterra 234.000 soldati britannici e 112.000 francesi; dovette però sacrificare tutto il materiale di guerra. (Sapere.it)
Quello che poteva essere un disastro, divenne un’operazione di successo per le forze anglo-francesi, Winston Churchill in un discorso alla Camera dei Comuni esortò la popolazione nello spirito di Dunkerque (“Dunkirk spirit”), ma dichiarando anche di non trionfare, perché “le guerre non si vincono con le evacuazioni” (“Wars are not won by evacuations”). Tuttavia, le esortazioni allo “spirito di Dunkerque” segnarono profondamente il popolo inglese, tanto che ancora oggi il termine è ancora usato per descrivere gli atteggiamenti utili per superare i momenti di avversità. (Wikipedia)
Il partito democratico esce da una serie impressionante di disfatte. Le elezioni con la mancata vittoria che però grazie al porcellum ha creato ugualmente l’illusione della forza. L’incarico a Bersani che si è concluso in un nulla di fatto, dopo i molti plateali e umilianti dinieghi opposti dal Movimento 5 Stelle. L’elezione presidenziale condotta all’insegna dello sbandamento strategico più totale. E qui arriva Dunkerque. Quando tutto sembra perduto torna in scena il vecchio Napolitano e la partita ha un finale a sorpresa. Il Pd ha perso lo stesso, in quanto si è venuto a trovare in balia degli eventi. Però all’ultimo minuto ha intravisto un punto di riferimento e ha evitato di andare in pezzi. L’esercito è salvo per ora. Demoralizzato ma salvo. E nell’ultima delle disfatte ha perso anche l’arma dell’antiberlusconismo. Ma la guerra non è finita. Tutt’altro. Il bello deve ancora venire. Per questo il paragone con Dunkerque è particolarmente calzante.
Al momento la scena è ancora dominata in gran parte da morti che parlano e da neonati strafottenti. Con Enrico Letta viene proiettato in primo piano un giovane ottimate nel pieno possesso delle sue facoltà. Qualcuno ha visto in lui una figura intermedia tra Matteo Renzi e Giuliano Amato. Aggiungerei due ombre alle sue spalle: Prodi (con Andreatta) per il legame con l’industria di Stato e Napolitano nella veste di superpresidente del Consiglio.
Prodi e Andreatta sono usciti dal gioco. Non così l’altra ombra, quella del vecchio presidente. Se il giovane Letta dovesse fallire nell’impresa di dar vita a un governo, l’ombra di Giorgio Napolitano si ergerebbe solitaria al centro della scena come avviene alla fine con la statua del commendatore nel Don Giovanni di Mozart. E il regolamento di conti finora solo rimandato esploderebbe di nuovo, con esiti davvero imprevedibili a questo punto.