Quante volte è morto il comunismo in Italia? Almeno due, per ora. Non è morto nel 1991 alla fondazione del partito democratico della sinistra. Allora nacque subito rifondazione comunista, pronta a raccogliere la vecchia bandiera. E’ morto una prima volta quest’anno. Alle elezioni di febbraio gli ex comunisti si trovavano in molti partiti, molti di loro però avevano preso le distanze da quella storia. Questo era vero perfino per Vendola che faceva riferimento alle parole sinistra, ecologia e libertà. Quanto ai comunisti comunisti residui di rifondazione erano ormai nascosti dentro la lista di Rivoluzione civile, capeggiata da un magistrato e caratterizzata nei colori dall’aggiunta dell’arancione al rosso. Come è noto, Rivoluzione civile non ha raggiunto il quorum.
La seconda morte si è prodotta in questi giorni. Dopo un curioso trionfo nelle elezioni per il presidente della Repubblica. Lo scontro finale aveva infatti visto contrapposti due uomini politici in vario modo legati al partito comunista italiano in passato: Giorgio Napolitano, alto dirigente del partito fino al 1991, e Stefano Rodotà, a lungo deputato eletto tra gli indipendenti di sinistra. Qui arriva la sorpresa del governo Letta. A questo punto i comunisti, anche solo ex, bisogna proprio cercarli con il lanternino. Tutto si riduce forse a Flavio Zanonato, sindaco di Padova. Piccolo particolare: era sul palco quando nel 1984 Enrico Berlinguer proprio a Padova fu colto da malore.
La vicenda considerata meriterebbe una riflessione. Per rapidità una battuta o due possono bastare: non si elimina facilmente il rimosso. E per molti suoi antichi seguaci, al vertice soprattutto, il comunismo si è venuto a trovare nella situazione propria del rimosso. D’altra parte ciò che viene malamente accantonato non si rassegna facilmente a scomparire. E la storia passa volentieri dalla tragedia alla farsa. Insomma sarà forse Beppe Grillo a scrivere un altro capitolo della vicenda. E la sua già si configura come una replica strampalata dell’originale.