… “nessun segretario di partito – nemmeno De Gasperi – e nessun patto trasversale – nemmeno il Caf di Craxi, Andreotti e Forlani – sono mai riusciti a imporre il loro uomo al Quirinale senza essere impallinati dai cecchini di Montecitorio, senza arrestarsi impotenti e disarmati di fronte alle trappole nascoste dei loro stessi compagni di partito. Perché si può imporre anche un governo, al quale la fiducia si dà e si nega con voto palese, ma non si possono costringere mille grandi elettori a ubbidire ciecamente nel segreto dell’urna quando si tratta di scegliere l’uomo che per sette anni siederà sulla poltrona più ambita della politica italiana, quella di capo dello Stato. E allora tutti gli aspiranti presidenti sanno che dopo aver convinto i compagni di partito, dopo aver trattato con gli alleati, dopo aver teso la mano all’opposizione per ricevere anche i suoi voti, il momento della verità arriva solo quando entrano in azione loro: i franchi tiratori”.
Sebastiano Messina, Le trappole dei peones sulla strada del Colle, L’Espresso, 6 marzo 1999
Non è solo una curiosa tradizione. Nei grandi appuntamenti con la storia i franchi tiratori alle elezioni per il Quirinale fanno saltare i vecchi e decrepiti equilibri, annunciando il futuro o segnalando la prevalenza di una sensibilità nuova. Successe nel 1955. Doveva essere Merzagora e fu Gronchi. Capitò di nuovo nel 1992. Doveva essere Forlani e fu Scalfaro.
Stavolta non è detto che al posto di Marini passi Rodotà . Nondimeno l’elezione di Marini è altamente improbabile. Ed è bene che sia così. Il prossimo presidente avrà responsabilità di governo. E sarà il volto dell’Italia nel mondo, al di là delle variazioni prevedibili a Palazzo Chigi. Anche rispetto agli omologhi Amato e D’Alema Marini è in tal senso una figura debole. E poi c’è la questione niente affatto trascurabile del rapporto con gli umori del paese. Da questo punto di vista Marini è un reperto archeologico, rispettabile forse, ma certo non riciclabile come la novità tanto attesa.
Per la segreteria di Bersani la sua candidatura segna il momento della caduta irreversibile. Non poteva andare peggio. L’uomo che si è presentato con il cappello in mano a Crimi e Lombardi, ora offre su un piatto d’argento a Berlusconi il candidato più accettabile per la destra. Doveva smacchiare il giaguaro e esce di scena dopo avergli offerto un ennesimo trofeo. Anzi non osa neppure uscire di scena davanti al suo popolo inferocito. Ieri sera Bersani ha dovuto utilizzare una porta secondaria per lasciare il cinema Capranica dove si era registrata tra l’altro la spaccatura del suo partito.
I fedelissimi di Pier Luigi Bersani si ribellano alla scelta di Franco Marini Presidente della Repubblica. E se a dire di no sono due come Matteo Orfini e Alessandra Moretti, forse qualche domanda il segretario se la dovrebbe fare. (Giornalettismo)