Di chi sta parlando, a chi sta parlando, il grande sociologo nel brano sotto riportato? Sarebbe troppo facile rispondere: “a Grillo e al M5S”. La politica finalizzata all’impressione prodotta sul pubblico, e prima ancora alla salvaguardia dell’immagine, è una tra le cause principali dello stallo a cui stiamo assistendo. E non è certo una novità degli ultimi mesi.
Da quanti anni l’Italia non è governata? E che cosa saranno chiamati poi a giudicare gli elettori? Lo spettacolo offerto dai politici, Grillo compreso a questo punto, o le decisioni assunte, l’azione di governo? E se l’azione di governo appare nulla o dannosa, con chi se la dovranno prendere? Da qui l’idea precisa che l’uno vale l’altro. Da qui una depressione diffusa e quel rimedio che si chiama identificazione con una forza irresistibile: meglio lo tsunami che lo stallo ancora prolungato. Ora lo tsunami si è prodotto e non ha messo fine allo stallo. Chi può trarre vantaggio da tutto questo? Ed è giusto speculare su tutto questo? Non è giusto e non è neppure indice di grandi qualità nell’agire politico dei responsabili. Tutti. Questo dice Max Weber parlando a tutti noi e più specialmente agli eletti.
Giovanni Carpinelli
…La politica si fa col cervello e non con altre parti del corpo o con altre facoltà dell’animo. E tuttavia la dedizione alla politica, se questa non dev’essere un frivolo gioco intellettuale ma azione schiettamente umana, può nascere ed essere alimentata soltanto dalla passione. Ma quel fermo controllo del proprio animo che caratterizza il politico appassionato e lo distingue dai dilettanti della politica che semplicemente “si agitano a vuoto”, è solo possibile attraverso l’abitudine alla distanza in tutti i sensi della parola. La “forza” di una “personalità” politica dipende in primissimo luogo dal possesso di doti siffatte. L’uomo politico deve perciò soverchiare dentro di sé, giorno per giorno e ora per ora, un nemico assai frequente e ben troppo umano: la vanità comune a tutti, nemica mortale di ogni effettiva dedizione e di ogni “distanza”, e, in questo caso, del distacco rispetto a se medesimi. La vanità è un difetto assai diffuso, e forse nessuno ne va del tutto esente. Negli ambienti accademici e universitari è una specie di malattia professionale. […] Giacché si danno in definitiva due sole specie di peccati mortali sul terreno della politica: mancanza di una “causa” giustificatrice (Unsachlichkeit) e mancanza di responsabilità (spesso, ma non sempre, coincidente con la prima). La vanità, ossia il bisogno di porre in primo piano con la massima evidenza la propria persona, induce l’uomo politico nella fortissima tentazione di commettere uno di quei peccati o anche tutti e due. Tanto più, in quanto il demagogo è costretto a contare “sull’efficacia”, ed è perciò continuamente in pericolo di divenire un istrione, come pure di prendere alla leggera la propria responsabilità per le conseguenze del suo agire e di preoccuparsi soltanto “dell’impressione” che egli riesce a fare. Egli rischia, per mancanza di una causa, di scambiare nelle sue aspirazioni la prestigiosa apparenza del potere per il potere reale e, per mancanza di responsabilità, di godere del potere semplicemente per amor della potenza, senza dargli uno scopo per contenuto. […] Il mero “politico della potenza” (Machtpolitiker), quale cerca di glorificarlo un culto ardentemente professato anche da noi, può esercitare una forte influenza, ma opera di fatto nel vuoto e nell’assurdo. In ciò i critici della “politica di potenza” hanno pienamente ragione.
Max Weber, La politica come professione, 1919