Il picchio parlanteC’era una volta la libertà di stampa

Il 3 maggio è la giornata in cui si celebra la libertà di stampa, istituita vent’anni orsono dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ma cos’è, o meglio, cosa vuol dire, al giorno d’oggi "liber...

Il 3 maggio è la giornata in cui si celebra la libertà di stampa, istituita vent’anni orsono dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ma cos’è, o meglio, cosa vuol dire, al giorno d’oggi “libertà di stampa”? In un’epoca in cui scrivere, narrare episodi “oscuri” legati al malaffare, alla criminalità, ma anche alla politica stessa, se vai bene, rischi di beccarti una “richiesta di risarcimento danni” nell’ordine di varie migliaia di euro. Se vai male, puoi rimetterci – e molto- in termini di salute.

Sto parlando dell’Italia, ma in altri Paesi le cose vanno anche peggio. Basti pensare a alla Siria, Paese dove Domenico Quirico, inviato de La Stampa, è stato rapito quasi un mese fa. Questo perchè la stampa, ovvero la circolazione delle informazioni, viene vista spesso come un inconveniente. Meglio se fa da cassa di risonanza del potere (o gruppi di potere; multinazionali, per intenderci). Meglio per loro, ovviamente. Chi ci rimette è la cittadinanza, visto che viene meno un potente argine pensato per fare da contrappeso al potere.

Eh già. Il cosiddetto “quarto potere”, figlio dei diritti individuali promossi dall’ideologie del XVII secolo. Studiato proprio per frenare gli altri 3 poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) di un governo democratico; «il potere freni il potere”, teorizzava Montesquieau. Chiaramente, sono passati dei secoli, e i mezzi di informazione si sono evoluti più e più volte. Ma gli equivoci di fondo, sono rimasti pressochè gli stessi.

La confusione tra la libertà di stampa e la proprietà dei media, e la conseguente dipendenza di fatto della prima dalla seconda. La stampa per essere realmente “quarto potere”, deve essere indipendente sia dai poteri politici che da quelli economici. L’indipendenza dei giornalisti da ogni forma di potere è necessaria quanto la stessa indipendenza dei magistrati. Un lavoro del genere, se condizionato, viene privato della sua caratteristica fondamentale: la libertà d’azione.

Certo, grazie allo sviluppo di Internet abbiamo assistito da una proliferazione dei mezzi di informazione, ma non sempre ad una migliore qualità e gestione dei contenuti. Per fare giornalismo non serve solo una connessione e una voglia di raccontare. Serve un forte spirito critico, capacità di analisi, oculatezza nella ricerca delle fonti e dei diversi punti di vista, accompagnati da tanta lettura e padronanza del linguaggio. Molti giornalisti, grazie al web, hanno approfittato per coltivare questa passione (o lavoro, che dir si voglia).

Ed anche la disinformazione dilagante dalle nostre parti, viene spesso “smascherata” dalle news circolanti nella Rete. Se siamo 40esimi nella classifica della “libertà di stampa” curata dalla ONG, Reporter sans frontieres, non è un caso. Anzi. Forse senza il prezioso lavoro dei blogger e delle “sentinelle del web”, alcuni media avrebbero potuto (voluto) far peggio.

Ma nascondersi dietro un dito, che può essere chiamato Tv o il “giornale amico”, ormai serve a poco. Si potrà fare più fatica (nella ricerca della verità) ma l’esposizione dei fatti viene (quasi) inevitabilmente a galla. D’altronde la libertà d’espressione, è uno dei principi cardini della democrazia. Quando credi di averla raggiunta, hai ancora tanta strada da fare davanti. E’ un lavoro continuo; va coltivato (leggasi anche ricordato), giorno dopo giorno. Affinchè non sia una favola, ma appunto realtà.

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