Out among the EnglishDove sono i reporter? (Salone del Libro 2013)

Questa è una riflessione che facevo lo scorso sabato, a Torino, mentre una decina di colleghi si affollavano attorno alla macchinetta del caffè della sala stampa, in attesa che un messo angelico n...

Questa è una riflessione che facevo lo scorso sabato, a Torino, mentre una decina di colleghi si affollavano attorno alla macchinetta del caffè della sala stampa, in attesa che un messo angelico nelle vesti della responsabile dei rapporti con non so cosa, comparisse per scortarli virgilianamente verso un Saviano per l’occasione travestito da Beatrice. I colleghi, tutti di mezza età e perfettamente in ordine, nella metafora impersonano Dante e, come tale, sembravano sul punto di svenire. Inutile dire che dopo la visione si sono sparpagliati per le vie del ritorno. Non gli rimprovero nulla, è il loro mestiere come lo hanno fatto fino a ora, è la definizione che conoscono di critica letteraria. È il motivo per cui la Tassoni noi ce l’avevamo gratis.

Io però intravedo, nelle nuove generazioni, qualcosa di diverso. È come se il movimento fosse ritornato a essere fondamentale, come se non potessimo più permetterci di stare fermi. Non aspettiamo più i libri da recensire, ma andiamo a prenderli, andiamo a cercare la storia e proviamo a parlare di come il libro sia nato, si sia sviluppato e stia evolvendo. Andiamo a caccia della notizia, in un modo che si avvicina più al giornalismo di cronaca che alla critica da poltrona.

È colpa della crisi? Può darsi. È che è molto raro che una testata garantisca per noi e ci faciliti gli accessi, o che ci venga passato il pezzo. Si tratta di una questione di indizi e di ricerca per la quale, complice la frenesia dei trent’anni e la foga che dieci anni di declino lavorativo ci hanno insegnato, muoversi diventa necessario. Così, mentre i danteschi critici si affollavano a ricevere il verbo, altri (in maniera molto simile ai reporter del tempo che fu) correvano qui e là per il Salone, cercando di recepire quello che la comparsa di Saviano e scorta aveva provocato tra gli stand, sfruttando i commenti di seconda mano, approfondendo la critica a un nuovo livello. Un livello attivo e presente, fatto di social network in 140 caratteri – chi non capisce gli hashtag farebbe bene a rivedere il suo concetto di informazione – e festival che somigliano molto a tour de force, ma che rinvigoriscono e completano il mestiere più di quanto una conferenza guidata possa mai fare.

Ecco perché mi piacerebbe che prendesse piede la definizione di LitReporter (#LitReporter, a fare i pignoli), per riferirsi a questa generazione di giornalisti culturali – diversi dai blogger – senza ufficio e con la redazione lontana chilometri, che costruisce i pezzi dal niente con la sincerità di un inviato dal fronte. Perché l’energia cinetica scatenata dal nostro movimento potrebbe, se non altro, dare energia alle rotative.

{sarebbe bello se la discussione prendesse piede su Twitter, a coronamento}