La Fantascienza è adessoQuel mostro cattivo chiamato “Internet”

In questi giorni si è tornato a parlare della rete, dei comportamenti che si tengono dentro essa e di come ci abbia cambiato. Il ritorno di questo dibattito è stato scatenato dalle dichiarazioni d...

In questi giorni si è tornato a parlare della rete, dei comportamenti che si tengono dentro essa e di come ci abbia cambiato. Il ritorno di questo dibattito è stato scatenato dalle dichiarazioni della Boldrini, in un articolo di Repubblica, riguardo le numerose minacce ricevute attraverso internet e dall’editoriale di Paul Miller, giornalista del magazine Verge che è stato un anno senza internet. Sono state dette tante cose, tutti concetti molto fumosi e sopratutto in ritardo. Pare che finalmente tutti si stiano accorgendo della rete come luogo reale, modificatore della nostra vita sociale, da studente di comunicazione lasciatemi solo dire: ma buongiorno!

Parto dalla Boldrini: ha ricevuto più di una minaccia, alcune molto pesanti. I politici hanno mai ricevuto minacce? Si, sono il potere e purtroppo “avvertimenti” del genere ne riceveranno sempre. Cosa è cambiato con la rete? Che sono più facilmente raggiungibili, quindi anche il primo scemo che ha un’ora libera può spedirle fotomontaggi poco allegri.

Leggi contro tali atti ce ne sono, vanno solo trasferite dal mondo reale a quello virtuale, anzi sapete cosa sarebbe ancora meglio? Superare questa assurda divisione tra vita online e offline, è assurdamente anacronistica e retrograda. E’ diventato sempre più impossibile stabilire un contatto visivo con gli altri, perché tutti guardano dentro smartphone o tablet. La nostra presenza fisica viene surclassata da quella in rete, si ignora chi è vicino materialmente a noi a favore di contatti lontani ma presenti sul social desiderato.

Vita online ed offline sono la stessa cosa e come tali vanno considerati, la Boldrini però non può svegliarsi un giorno e dichiarare guerra alla rete solo dopo attacchi personali, proponendo soluzioni fumose, parlando di tutto e di niente, mostrando poca conoscenza dell’argomento. Ci sono migliaia di persone che ricevono minacce sulla rete da molto prima della Presidente della Camera, normalissimi youtubers che fanno video innocui, figurarsi cosa può arrivare ad un figura istituzionale come quella della Boldrini.

Proprio perché si continua a considerare la vita su internet distaccata da quella “reale” le persone si sentono in diritto di comportarsi diversamente. Vi faccio un esempio personale: avevo un blog su splinder, aggiornavo ogni dimissione di Papa, scrivevo storie (ne scrivo ancora, ma mi sono trasferito qui) e altre corbellerie, nulla di serio insomma. Un giorno scrissi un racconto grottesco in cui i protagonisti avevano dei finti secondo cognomi che si erano dati perché si sentivano una famiglia, ciò era chiaramente scritto nel racconto, eppure ricevetti i commenti indignati di una lettrice che giudicava assurdo il racconto di ragazzi bolognesi con cognome inglese. Così non feci altro che copiarle l’estratto in cui dicevo chiaramente che era un “sopracognome”, ma lei insisteva nel voler trovare delle inesattezze, ed io ogni volta copiavo ed incollavo parti del breve racconto per smentirla.

Insomma questa qui alla fine diceva che no il racconto era comunque brutto e stupido, io ribattei che forse non aveva capito l’intento ironico/grottesco, ma lei diceva che no io dovevo accettare ogni sua critica perché il mio era un blog pubblico, io conclusi con un bel “eh no cara mia se permetti sono liberissimo di controbattere alle critiche, basta che non sia offensivo o volgare”.

Questo è uno degli esempi dei comportamenti deviati della rete, ci sono millemila persone che commentano criticando e chi produce contenuti deve, secondo loro, accettare tutto in rigoroso silenzio, anzi se gli dicono “hai fatto una cosa stupida e brutta” devono ringraziare. Contando che, come già detto, il mio era un blog sfigato sul quale template rotolavano balle di fieno, figuratevi chi ha mille visite/visualizzazioni al giorno.

La Boldrini ha affermato che la rete è il luogo dove dimora incontrastato l’odio e la xenofobia, esatto Laura! Difatti esistono dei soggetti detti “haters”, da cui i celebri meme “haters gonna hate you” che tradotto diventa “coloro che ti odiano continueranno ad odiarti”, ossia fregatene che tanto a quelli qualsiasi cosa fai gli stai sul pene.

Urban dictionary ne da’ numerose definizioni, ve ne cito solo tre:

1.Una persona che semplicemente non può essere felice per il successo altrui, così preferisce far notare difetti di quella persona. L’haters non prova gelosia, non vuole essere il soggetto dei suoi attacchi, vuole solo buttarlo giù

2.Parola sovra usata che le persone amano usare per definire chi esprime un’opinione contraria alla maggioranza

3.Una persona che ha sviluppato un forte odio nei confronti di qualcuno non per demeriti oggettivi, ma per proprie opinioni totalmente soggettive. Se non si sopporta qualcuno per motivi razionali non si può essere definiti hater.

La prima e terza definizione evidenziano bene come non ci sia neanche un briciolo di razionalità nell’odio di questi soggetti, il loro è più che altro un divertimento, peccato che chi riceva tutti questi attestati di odio non sarà così divertito. Da una parte bisogna comprendere come tali attacchi siano senza nessun fondamento e quindi bisogna ignorarli, dall’altra se si ignorano sempre più si diventa insensibili, d’altronde il dilagante humor nero che gira sui vari social ne è il lampante esempio. Un tipo di ironia che non appartiene alla nostra cultura, casomai a quella britannica.

Gli haters, oltre a rendere insensibili certe persone, hanno portato ad una omologazione del pensiero, come recita la seconda definizione di haters. Dato che non vengono più presi sul serio ed è chiaro come le loro critiche sono senza fondamento, allora chi esprime opinioni contrarie viene subito bollato come haters.

Tale unificazione del pensiero è stata causata anche e sopratutto dalla “cultura del mi piace”, i social network forniscono numerosi strumenti per approvare un determinato contenuto, su Facebook c’è il mi piace ma non l’opposto, su Twitter il retweet. Il dissenso viene scoraggiato, perché difficile da quantificare e monetizzare: un lungo dibattito tra più persone non può essere facilmente contato come il numero di mi piace ricevuto da uno status, una foto o una condivisione.

Certo che gli utenti alimentano questo meccanismo, il mi piace piace (perdonate il gioco di parole) perché non costringe all’elaborazione di un pensiero critico, qualcosa può piacere per mille diversi motivi, il mi piace sintetizza il tutto in un povero assenso. Inoltre la maggioranza delle persone quando vedono un lungo scambio di commenti pensano subito ad un litigio, vorrei ricordare che quando ci si confronta in maniera fruttuosa si parla/scrive molto per esporre le proprie ragioni e conoscenze, e sapete una cosa? Può essere fatto anche in maniera democratica senza offendere l’altro, basta possedere una cosa: l’educazione.

Il rafforzamento delle “cricche” di pensiero è dato anche dalla facilità con la quale si trovano luoghi virtuali in cui il pensiero è uniformato. Una volta si doveva cercare un circolo e spesso non lo si trovava, quindi si veniva costretti a confrontarsi con persone differenti portando ad una mentalità aperta e maggiormente predisposta al confronto. Le comunità difficilmente fanno il bene, i giovani di destra vestono bene e se hai qualcosa fuori posto non sei dei loro, i giovani di sinistra se possono si rinchiudono in centri sociali, oppure si sentono vittime della provincia e se non hai pantaloni strappati ed una kefiah non sei dei loro. La chiusura è tratto distintivo di ogni gruppo sociale che spesso tiene più all’apparenza che al resto.

Adesso si trova in pochi minuti la pagina Facebook che ci interessa e lì ci sentiremo cullati nella nostra visione del mondo, troveremo chi ci dà sempre ragione e per farci accettare magari abbandoneremo alcune convinzioni che non rientrano nel solco tracciato dal nostro gruppo sociale. Più frequentiamo questi posti più il nostro pensiero viene uniformato.

E grazie a queste sicurezze che dalla rete spuntano i “leoni da tastiera” che attaccano violentemente chi non la pensa come loro, come è successo alla Boldrini con gruppi di estrema destra. Bisognerebbe cercare di cambiare la cultura, perché la rete è soltanto un amplificatore della società, la cambia in minima parte e ne è lo specchio. Non è che sulla rete ci sia odio, c’è nel mondo, non mi pare che uno come Hitler sia salito al potere grazie ad internet.

Il problema è dentro la società stessa, internet o no, che è sempre più anestetizzata, usa l’ironia per offendere, puoi scrivere quello che ti pare basta che poi ti pari il culo con un punto e virgola ed una parentesi chiusa. Per prenderti gioco dei nazisti scrivi un articolo contro la ministra di colore Kynegie definendola “negra”, se poi altri non colgono l’ironia sono stupidi loro.

 https://www.youtube.com/embed/2PEALS5IJe4/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Per quanto riguarda Miller, l’uomo senza internet per un anno, ritengo il clamore suscitato dal suo caso francamente assurdo. I sociologi prima di presentare conclusioni su determinati fenomeni sociali interrogano ed analizzano più e più persone, ritenere risultati oggettivi quelle che sono solo opinioni di una persona è assurdo.

Il giornalista inoltre ha capito che forse parte di alcuni suoi problemi non sono dovuti ad internet, forse la rete è un effetto e non una causa. Il maggior problema di adesso è questo: tutti cercano giustificazioni nella rete, sei asociale? Colpa della rete!

Non metto in dubbio che la rete ci abbia cambiato, anzi sono il primo ad andare contro certi comportamenti causati da un’eccessiva “navigazione”, ma bisogna anche capire in che cosa ci ha realmente cambiati e quali invece sono nostri problemi personali, di cui il web non ha nessuna colpa.

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