Si è svolto ieri alla Camera il seminario “No hate-speech. Parole libere o parole di odio?” probabilmente, voluto con insistenza dal Presidente della Camera, Laura Boldrini, dopo il polverone alzato lo scorso maggio in seguito ad alcune sue dichiarazioni riguardanti il web. Un confronto dai propositi costruttivi, perchè nel momento in cui si apre il dibattito, vi è la possibilità di prendere in considerazione diversi aspetti del fenomeno Internet.
Un incontro che, dopo l’introduzione della Boldrini, dove ribadiva la sua contrarietà ad ogni tipo di censura così come alle parole di odio, ha visto un ottimo intervento di Rodotà. Il noto giurista ha subito ammonito quanti si soffermano solo sulla “responsabilità di Internet” senza analizzare nella sua completezza l’argomento.
Parlando solo dei comportamenti scorretti compiuti online, non riusciamo a fornire un quadro esaustivo della realtà. Certamente di episodi spiacevoli ne abbiamo sentiti – e probabilmente ne continueremo a sentire- moltissimi, ma non è questa una buona occasione per criminalizzare la Rete. E soprattutto, perchè la Tv rimarrebbe esente da questo discorso? Anche la televisione spesso non è una buona fonte di educazione per i ragazzi, e gli esempi potrebbero moltiplicarsi (falsi miti, pubblicità ingannevoli, visione parziale di determinate questioni).
Ma poi, il “bullismo via web”, non esisteva anche negli anni ’80, ’70, ’60? Forse prima, i ragazzi non venivano insultati a scuola; senza chat non si veniva presi in giro. O forse prima, non esistevano gli episodi di stupro, di maltrattamento, di violenze varie. Insomma, non esistavano i reati. Niente di tutto questo è vero. C’era meno pubblicità, questo indubbiamente, ma con questo particolare forse si potrebbe cogliere la positività, ovvero la possibilità di poter intervenire più decisamente, e soprattutto sull’offline.
Perchè, non lo dico solo io, il problema non si pone sul web. Quest’ultimo – a quanto pare non bisogna stancarsi di ripeterlo perchè in molti ambienti ciò non è ancora chiaro- è uno strumento. In quanto tale, è esente da colpe attinenti ai reati. Il problema è insito nei comportamenti umani. Dietro ad una tastiera, dietro un commento, un articolo di giornale, c’è sempre una mente che l’ha pensata e che, molto probabilmente, l’avrebbe diffuso in altro modo.
E’ una battaglia prettamente culturale. Bisogna intervenire sull’educazione, partendo dalle scuole, con una campagna di alfabetizzazione che punti ad individuare le responsabilità degli errori, ma che possa altresì illuminare anche sulle ampie possibilità di sviluppo offerte da Internet. Mostrare dunque, le occasioni di rinascimento economico e culturale che possono essere innescata da un’opera di digitalizzazione del Paese, che oggi come oggi, soffre di un gravissimo ritardo in termini di progresso (molti lo chiamano “crescita” ma è un termine che non mi piace tanto).
Chi, invece, utilizza il dolore per attaccare il web sta facendo una grande azione di strumentalizzazione. Giustamente, è difficile replicare ad una persona che parla attraverso le emozioni. Non riesci ad essere razionale quando il tuo interlocutore ha subito una disgrazia. E’ anche per questo che l’Italia non è un Paese per Internet. Ma non è per questo che possiamo fermarci ad aspettare che il treno chiamato “futuro” ci passi davanti senza nemmeno provare a salirci sopra.