Ai funerali di Franca Rame c’ erano le bandiere rosse, i pugni chiusi e l’ Internazionale, ma non per quelli era venuto in Lombardia l’ Ambasciatore della Repubblica Socialista del Vietnam S.E. Nguyen Hoang Long.
L’ Ho Chi Minh a cui si riferivano i discorsi delle Autorità non era il leader dell’ indipendenza del Vietnam e nemmeno il sentiero caro alla sinistra milanese, che a cento chilometri di distanza dava l’ addio alla sua donna simbolo, ma l’ aeroporto di partenza della rotta cargo che dovrebbe restituire alla vita l’ aeroporto di Montichiari, dove da tempo non atterra nessun passeggero su voli di linea o charter, ma che i bresciani per orgoglio di campanile ed invidia verso Bergamo non accetterebbero mai di chiudere, così come i veronesi, che ne controllano la concessione, perché vi hanno “investito” almeno 80 milioni di euro e dimenticano che non si dovrebbe chiamare investimento il mero ripianare le perdite annuali.
A chi ci fosse tornato dopo qualche decennio passato su Marte, la Lombardia avrebbe presentato due scene parallele e surreali. A sinistra si celebrava una volta di più l’ ideale comunista e non si parla più del Vietnam da tempo, per non dover ammettere che il Paese per cui si fecero tante battaglie, seguendo in tutto e per tutto l’ esempio cinese è rimasto socialista di nome e col partito unico, ma ha un solo obiettivo: la crescita economica. Per imprenditori e destra bresciana era invece “una giornata di festa” l’ annuncio della caravella socialista vietnamita che da ottobre sarà la prima alternativa ai voli notturni con cui generosamente Poste Italiane fa un po’ di movimento dalle parti di Montichiari.
L’ Ambasciatore vietnamita, che ci parlava in perfetto italiano e solo una leggera inflessione meneghina, perché a Milano ha studiato, ci ha comunicato con una certa preoccupazione che la crescita economica del suo Paese è scesa, per effetto della crisi, da una media annua del 9% a solo il 6% che per noi Italiani è pura utopia. Veniva in mente Jannacci, “gli ha portato via un bel castello, di trentadue che lui ce ne ha”. Povero Ambasciatore.
Il Vietnam cerca di sganciarsi dal troppo ingombrante vicino cinese e prova a tracciare nuove rotte proprie verso l’ Italia, come testa di ponte in Europa, nello stesso modo in cui gli Inglesi si piazzavano a Shanghai, Hong Kong e Singapore. “È difficilissimo utilizzare i porti italiani, che farebbero risparmiare 10 giorni alle merci dirette in Nord Europa”, ci dicono. E allora se i porti non sono all’ altezza, si prova con gli aeroporti, con quello di Brescia Montichiari, bell’ addormentato che da anni attende il Principe Azzurro che lo risvegli con un bacio.
Il prof. Pilotti dell’ Università di Milano ha ricordato che già oggi il 35% del traffico mondiale di merci, misurato in valore, viaggia in aereo e si stima che nel 2025 si arriverà al 55%. Il cargo aereo è perciò un fattore determinante della capacità competitiva di un Paese e questo a maggior ragione per l’ Italia, che dopo la Germania è il secondo esportatore europeo di merci.
Nel disastro generale dell’ aviazione italiana, anche il settore cargo segna una performance poco brillante, perché più di metà delle merci non vola dall’ Italia, ma viene caricata su un camion alla volta di un aeroporto d’ oltralpe, da cui prosegue verso il mondo. Non c’ è solo una perdita di business logistico, la merce viaggia in aereo perché deve arrivare il più presto possibile e, ovviamente, andando in camion a Parigi o a Francoforte non è veramente il più presto possibile. Si pensi ai macchinari di cui siamo forti produttori e alla difficoltà di inviare tempestivamente pezzi di ricambio.
Il motivo principale dell’ incapacità nostrana di accontentare la domanda è che il cargo viaggia in due modi, su aerei dedicati e nella “pancia” degli aerei passeggeri. Il numero delle rotte intercontinentali dagli aeroporti italiani è ridicolo e particolarmente gravi sono state le conseguenze dell’ aver spostato i voli intercontinentali Alitalia da Milano Malpensa a Roma Fiumicino. Il cargo è un business del nord Italia, gli aeroporti lombardi hanno, nonostante tutto, i due terzi del traffico nazionale, anche se i voli Alitalia partono da Fiumicino. Roma, essendo città terziaria e turistica senza un ampio tessuto industriale, nel cargo non ha chance. In un settore dai margini sottili era scontato che l’ operazione di Colaninno sarebbe fallita, perché chi parte con la “pancia” vuota di cargo può solo perdere.
Quanto ai voli cargo, quelli con aerei dedicati alle sole merci, Malpensa ha un buon successo e sta raddoppiando la sua cargo city, Orio (Bergamo) è la roccaforte dei voli courier, cioè quelli di DHL e simili, forte del fatto che la maggior parte dei centri logistici in Lombardia si trova immediatamente ad est di Milano e che non sono ancora stati completati i collegamenti autostradali che permetterebbero di raggiungere Malpensa senza restare invischiati nel traffico.
Brescia Montichiari non avrà alcun futuro nel trasporto passeggeri per una quindicina d’ anni almeno, salvo che non si decida di travasarvi il traffico low cost che Orio non sarà in grado di accogliere, cerca dunque il suo posto al sole, con qualche investimento low cost come la costruzione di qualche magazzino. un piccolo allungamento della pista e l’ installazione di un semaforo sulla vicina strada provinciale, che permetteranno di far decollare nel pieno rispetto delle regole anche aerei da 100 tonnellate di carico, più economici di quelli più piccoli.
La posizione vicina all’ asse del Brennero e al Veneto, nonché la nuova autostrada che, fatta per andare da Brescia a Milano saltando Bergamo, curiosamente porta il nome di BreBeMi, cioè Bre(scia)-Be(rgamo)-Mi(lano), faranno di Brescia un aeroporto più centrale di Malpensa rispetto ai flussi di traffico, anche se c’ è da chiedersi quanto ciò sia rilevante. Gli spedizionieri non si fanno problemi a mandare camion in Germania, a Parigi e ad Amsterdam, guadagnare qualcosa partendo da Brescia anziché da Malpensa probabilmente non sarà mai un fattore decisivo.
Tutti i relatori hanno affermato che non si potrà fare a meno di Montichiari, perché gli altri aeroporti lombardi saranno presto saturi. Vorrei che avessero ragione, ma il solo Terminal 1 di Malpensa potrebbe accogliere 30 milioni di passeggeri l’ anno e ne ha invece una dozzina, giusto per dimenticare che col progettato satellite interpista potrebbe gestirne 50.
La capacità di un aeroporto trova un limite nella capacità di terminal e di aree cargo, nello spazio per “parcheggiare” gli aerei e nelle piste, con la terza Malpensa sarebbe in grado di gestire l’ intero traffico del Nord Ovest per molti decenni a venire. Purtroppo siamo in Italia e non è un mistero che la bergamasca Assessore all’ Ambiente della giunta Maroni stia facendo tutto il possibile per bloccare l’ autorizzazione alla terza pista di Malpensa, pensando di favorire gli aeroporti più vicini al suo elettorato. Faccio sapere ai miei ventiquattro lettori che, in Italia, è normale che un Assessore leghista lombardo metta i bastoni fra le ruote all’ aeroporto di Malpensa, che tutti hanno sempre considerato feudo della Lega. La fedeltà al campanile prevale su tutto e forse questo intendeva l’ Ambasciatore vietnamita quando ha detto che “l’ Italia non fa squadra” e chissà come si sarà divertito sentendo il Presidente della Provincia di Brescia (PdL) vantare la strenua lotta sostenuta, “altrimenti questo volo sarebbe andato a Malpensa”. Concedo tuttavia ad un Presidente di Provincia la possibilità di essere irrimediabilmente provinciale, chiedendomi tuttavia che senso abbia cianciare di “macroregione” se la Lega non riesce nemmeno a gestire la Lombardia come un’ entità sola.
Il volo dal Vietnam è comunque stato annunciato non da una linea aerea vietnamita, ma da un’ entità statale che si occupa di aviazione e che ha garantito che si procurerà un aereo Airbus 330F, (il più piccolo possibile perché sarà molto difficile riempirlo) quando avrà ottenuto i permessi.
Ricapitoliamo: tutta la stampa bresciana fa già la ola perché l’ aeroporto locale, fin qui solo fonte di perdite, vedrà un singolo volo settimanale col più piccolo aereo cargo possibile, sempre che si ottengano i permessi. Ci si ubriaca di indispensabilità di Montichiari oggi perché fra 25 anni forse gli altri aeroporti lombardi saranno pieni, si vanta un’ area disponibile superiore a quella di New York JFK, dimenticando che nel conto si sono incluse le aree della base militare di Ghedi, da cui la US Air Force non pare affatto intenzionata a spostare gli aerei carichi di bombe nucleari. Si parla di hub, come se la Lombardia potesse averne due, cosa possibile forse solo a Tokyo o a New York. Persino Londra, che ha un traffico superiore a quello dell’ intera Italia, ha rinunciato da tempo.
Diciamo che, se non fosse stato per la presenza dell’ Ambasciatore vietnamita, persona dall’ evidente spirito pratico, avrei pensato ad una riunione di propaganda politica da cui non sarebbe mai nato nulla. È ovvio che il volo dal Vietnam potrebbe arrivare senza problemi a Malpensa e che non ha nessun senso tenere un secondo aeroporto aperto per un solo volo la settimana, ma i miei ventiquattro lettori sappiano anche che, al momento di visitare la pista, siamo stati controllati agli archetti di sicurezza e alle macchine raggi X da personale che da mesi non vede i passeggeri di un singolo volo di linea e di fatto presidia una buzzatiana fortezza Bastiani, naturalmente a carico di una società le cui perdite vengono ripianate da Enti pubblici con le nostre tasse. È probabile che l’ aereo vietnamita arriverà a Montichiari perché attirato da tariffe così scontate da essere difficilmente remunerative, gli Enti locali vogliono tenere aperto lo scalo bresciano a qualunque costo.
La concorrenza non funziona, se fatta da società pubbliche che non badano al profitto, ma al consenso politico.
Guardando molto in là nel futuro, l’ aeroporto di Brescia Montichiari potrebbe avere un ruolo utile, se invece di essere affidato alle sole mani dei pur competenti nuovi vertici avesse alle spalle uno Stato vero o anche solo una Regione vera. Non ha senso che due o più aeroporti di fatto pubblici si contendano i clienti a colpi di sconti, senza alcun coordinamento che impedisca sprechi che nel 2013 appaiono ancor più intollerabili.
L’ Italia può avere forse un aeroporto dedicato al cargo, ma non riuscirà ad ottenerlo se non con una pianificazione corretta, quel fare squadra che S.E. Nguyen Hoang Long non vede. Non avremo crescita se l’ obiettivo, invece di essere la crescita, sarà ottenere il plauso della stampa locale in un’ ottica così provinciale che peggio non potrebbe essere, promettendo qualche posto di lavoro sovvenzionato e badando a non perdere piccoli posti di comando a disposizione dei sottogoverni locali.
Da qualche tempo è diventato Piano aeroportuale nazionale uno studio che giaceva da un paio d’ anni sulle scrivanie di ENAC. Bisogna chiudere i piccoli aeroporti inutili o almeno dare, a quelli che a qualcosa potrebbero servire, un ruolo coordinato con quello dei maggiori. Solo Forlì ha chiuso, ma da pochi giorni c’ è Comiso e tra un mese pure L’ Aquila.
Bisogna togliere gli aeroporti italiani dalle mani degli Enti locali e più in generale eliminare il cancro provincialista che grava su tutta l’ economia. Non foss’ altro che per questo motivo, almeno aboliamo le province.
CETERVM CENSEO LINATE ESSE DELENDAM